Articolo da A Sud
Da secoli le pietre laviche posate a secco sostengono il bianco dei tetti a cupola dei dammusi, le strutture che compongono il mosaico paesaggistico di Pantelleria, la Perla Nera del Mediterraneo. Situata nel canale di Sicilia, quest’isola conserva i segni di tante contaminazioni culturali e un patrimonio naturalistico che racconta un ecosistema minacciato dalla crisi climatica, soprattutto dall’assenza d’acqua. Con i suoi 80 km² di estensione e con una popolazione che conta poco più di 7mila residenti, Pantelleria oggi vive fenomeni molti simili a tante zone dell’Italia appenninica e montana. Tra spopolamento, accenni di overtourism e assenza di servizi, molti dammusi restano vuoti o abitati a intermittenza. Per questo la perla nera è anche un’area interna in mezzo al mare.
Un’isola di coltivatori
La morfologia dell’isola non concede approdi sicuri, e i venti forti che soffiano su Pantelleria hanno spinto a concentrare le attività umane nell’entroterra. Infatti, più che un’isola di pescatori, Pantelleria si configura come una terra di coltivatori soprattutto per la centralità della produzione del vino Zibibbo, di capperi e dell’olio d’oliva, ricchezze locali rinomate a cui lega fortemente la sua identità nel mondo. Altro protagonista delle attività agricole è l’ulivo strisciante, chiamato così per via di una tecnica di potatura particolare che prevede il taglio dei rami più giovani in maniera tale che quelli più anziani crescano, appunto, strisciando verso il suolo, per riparare le gemme dai forti venti che colpiscono l’isola e assicurarne i frutti. L’albero, in questo modo, striscia a terra ed è protetto dai muretti a secco, di fatto corridoi ecologici custodi di biodiversità che percorrono l’isola e ne disegnano gli itinerari per 1200 km, che per via dell’inerzia termica gli garantiscono riparo dalla luce diretta e quindi un ambiente più umido.
L’Italia dei margini in un hotspot climatico
In comune con le altre isole minori italiane presenta alcune problematiche, tra cui una diversità economica limitata che punta molto sulle attività legate al turismo dei mesi estivi, e la lontananza dalla terraferma che implica costi e tempi ingenti sia per il commercio che per l’accesso ai servizi fondamentali. Come accade per le altre piccole isole del mondo, gli abitanti di Pantelleria, seppur contribuendo in minima parte alla produzione di gas serra rispetto alla media globale, sono tra coloro che ne sono più impattati perché si trova nel mezzo del bacino del Mediterraneo, un’area di hotspot climatico. Il termine, infatti, indica quelle regioni del pianeta che si stanno riscaldando più rapidamente delle altre, e in cui i cambiamenti climatici possono generare impatti più significativi che altrove su ecosistemi e società umane per via di carenze strutturali nei sistemi sociali ed economici.
Gestione dell’acqua e del paesaggio
Le pietre del dammuso raccontano anche una pratica sostenibile delle gestione idriche che utilizza un ingegnoso sistema di accumulo, stoccaggio e di distribuzione dell’acqua. Queste costruzioni sono lì non solo come mero sfondo o come un nuovo possibile asset di estrazione di valore, ma indicano un principio organizzativo critico per il presente. Secondo i dati di Legambiente, nonostante una dispersione idrica al 60%, ci sono infatti 5000 edifici che presentano sistemi di recupero delle acque piovane, per un totale di circa 200mila metri cubi d’acqua. Una modalità di gestione dell’abitare che oggi dovrebbe essere rinnovata, visti i dati che arrivano da Copernicus: l’osservatorio europeo sui cambiamenti climatici, infatti, conferma un processo di desertificazione dell’isola, che soprattutto negli ultimi 40 anni ha avuto un forte impatto sulla disponibilità d’acqua. Già provata dalla siccità del periodo più recente, l’aumento di popolazione nei mesi estivi dovuto al turismo aumenta le difficoltà di approvvigionamento e di distribuzione dell’acqua per gli usi civili, ma anche per il trattamento del sistema fognario, che senza un ammodernamento rischia di saltare, lasciando i problemi ambientali e sanitari a chi vive l’isola tutto l’anno. È chiaro come da una prospettiva socio-ecologica, la conservazione del patrimonio culturale sposta il paradigma dall’innovazione al recupero dei metodi tradizionali contribuendo alla sostenibilità dell’isola.
Isole minori e gestione rifiuti
Sulle isole minori l’acqua non è l’unica questione spinosa. Lo è anche la gestione dei rifiuti. Nel 2022, infatti, nei 33 comuni afferenti a 26 isole minori italiane la raccolta differenziata media si è attestata al 56% (dato ISPRA). Una cifra che supera di pochissimo l’ormai vecchio obiettivo del 55% di raccolta differenziata previsto dall’attuale direttiva europea 2018/851, la quale ha già spostato l’asticella più in alto, portando l’obiettivo al 65% entro il 2035. Ci sono però interessanti differenze nella distribuzione di questa percentuale. Sono infatti 14 i comuni che hanno raggiunto l’obiettivo. Tra questi, Pantelleria si attesta all’82% di rifiuti differenziati nel 2023 grazie al sistema di raccolta porta a porta, a dimostrazione che nonostante l’evidente pressione sul territorio causata da un turismo sregolato, si possono raggiungere buoni risultati.
Un’area interna tra spopolamento e carenza di servizi
Se non ci assestiamo sulla retorica del turismo come unico orizzonte per vivere isole come Pantelleria, troviamo facilmente terreni di conflitto e disuguaglianze sociali comuni a tante zone d’Italia, soprattutto quelle distanti dai centri di offerta di servizi essenziali, come il servizio sanitario e il trasporto pubblico. Inoltre, come spesso accade nelle aree interne, anche sull’isola la qualità dell’offerta educativa risulta compromessa, così come le condizioni socioeconomiche dei residenti che mettono Pantelleria a rischio di un forte spopolamento. La mancanza sistematica di offerta formativa e occupazionale, e del riconoscimento del valore del capitale naturale, spinge i giovani ad emigrare, svalutando così il potenziale di un’isola a forte vocazione agro-ecologica. Per chi resta le opzioni sono limitate. Le possibilità di assunzione sono per lo più stagionali, precarie e senza contratti formali, legate prevalentemente al settore turistico. Il limitato stimolo culturale e relazionale di una comunità disgregata e isolata favorisce quindi una bassa ricettività all’educazione frontale.
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Articolo tratto interamente da A Sud
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