lunedì 24 febbraio 2025

Viviamo una solitudine di massa



Articolo da La Fionda

La malattia silenziosa del secolo ha un nome: solitudine di massa. Si diffonde come una selezione al contrario: là dove la vita è movimento, la solitudine porta all’isolamento. L’assenza di relazioni imprigiona in bolle di morte sociale, e non a caso la bolla digitale è la metafora più usata nel nostro tempo. Per la mente umana, figlia dell’evoluzione biologica che ci rende ancora, nonostante tutto, primati bisognosi di empatia, solitudine e morte coincidono. Sotto la superficie di un’apparente normalità avanzano consumismo emotivo, povertà affettiva, sradicamento spirituale. Lo vediamo ogni giorno: il tempo concesso al cibo attorno a una tavola comune è crollato, l’home delivery sostituisce il cucinare, il cinema e ogni tipo d’acquisto, per la gioia della piovra Amazon. Anche le droghe si adeguano, per lo meno negli Usa faro della nostra superiore civiltà: come sottolinea un’inchiesta dal titolo “The Anti-Social Century” recentemente pubblicata dal mensile The Atlantic, dopo gli analgesici, sono gli oppioidi a fare strage, con il fentanyl come arma di autodistruzione per poveracci. Trasversale a età, reddito e ceto, la solitudine è un fatto politico, poiché pesa di più su chi ha minori disponibilità economiche. E non conosce confini: secondo un sondaggio Gallup del luglio 2024, nel mondo oltre una persona su cinque dichiara di sentirsi “molto o abbastanza sola” (23%, più di 1 miliardo e 800 milioni di individui).

Il più grande studio realizzato finora, uscito sulla rivista scientifica Nature nell’ottobre 2024 e ripreso a novembre sul sito di aggiornamento medico Medscape, definisce la solitudine “una seria minaccia sia per il cervello che per il corpo”, perché “provoca ansia e depressione ma anche patologie pericolose per la vita, come le malattie cardiovascolari, l’ictus, l’alzheimer e il Parkinson”. Già da due anni a questa parte, infatti, l’Oms ha istituito un’apposita commissione per indagare il fenomeno. I singoli Stati non sono da meno. La Gran Bretagna ha scoperto che su quasi 67 milioni di abitanti ben 9 milioni si sentono soli, e il 17 gennaio 2018 ha istituito il Ministero della Solitudine. Negli Stati Uniti, dove un quarto degli adulti non è sposato, il presidente dell’American Enterprise Institute, Arthur C. Brooks, nel 2018 scriveva sul New York Times che “l’America sta soffrendo di un’epidemia di solitudine”. In Spagna, l’Istituto Nazionale di Statistica ha rilevato che nel 2016 più di quattro milioni e mezzo di spagnoli vivevano da soli, la maggior parte dei quali sotto i 65 anni.

In Italia, secondo l’Istat il 2022 è stato l’anno spartiacque. Per la prima volta, infatti, i single hanno superato le famiglie: 33,2% contro 31,2%. I vedovi o separati (famiglie unipersonali) nel 2011 rappresentavano già un terzo del totale dei nuclei familiari: nel 1971, erano il 12,9%. In totale, nel 2024 nel nostro Paese 8 milioni e 365 mila persone vivevano sole. Un numero, complice l’invecchiamento demografico, destinato a crescere. Nel 2017, un rapporto Eurostat segnalava che gli italiani che non sapevano a chi affidarsi in caso di bisogno erano più che raddoppiati, rispetto alla media dei 28 Stati esaminati (13% contro 6%). Dato interessante se confrontato con un’altra analisi Istat di qualche anno dopo, secondo cui, nella fascia tra i 18 e i 49 anni, erano soltanto 500 mila coloro che non inserivano la paternità o maternità nel proprio progetto esistenziale (anzi, il 46% vorrebbe non meno di due figli). “L’impressione di fondo”, commentavano gli autori del dossier del 2020, “è che il nostro Paese non riesca a pensare al suo futuro, ad assecondare un desiderio visibile nella società che può realizzarsi solamente rimuovendo tutti quegli ostacoli che hanno impedito in questi anni, a uomini e donne, di costruire la propria indipendenza, di avere i figli che volevano e di tradurre in realtà un loro desiderio”.

Una frustrazione esacerbata dalla tempesta raggelante del Covid. Le pause forzate dei lockdown hanno, da un lato, fatto certamente riscoprire il gusto di ritmi più lenti, influendo sulle massicce dimissioni dai posti di lavoro e sul rifiuto di accettare occupazioni con orari penalizzanti per la vita privata. Ma hanno anche accelerato la colonizzazione del tempo libero da parte dei social network e, più in generale, dell’iperconnessione in Rete. Navigando, chattando, videochiamando, guardando streaming e acquistando online, si ammazza il tempo. Ma si ammazza anche la vita di relazione, faccia a faccia. A farne le spese sono soprattutto gli adolescenti. Secondo una corposa indagine1 svolta dalla sociologa Jean Twenge sui ragazzi americani, è comprovato che comunicano ormai più virtualmente che di persona. Le amicizie online non hanno soppiantato quelle dal vivo, ma hanno preso il sopravvento. O meglio: le prime strutturarano le seconde. Perché l’uso dello smartphone come strumento di socializzazione è più facile, più comodo, meno faticoso. E soddisfa il bisogno di sicurezza che tradisce, nei soggetti più fragili, un’enorme insicurezza.

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Fonte: La Fionda


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Articolo tratto interamente da 
La Fionda


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