
Articolo da Agorà. La Filosofia in piazza
Lucio Corsi proviene da un mondo che va protetto. Non parlo del variopinto universo musicale, quello che da tempo ha assunto i ritmi tipici di una frenetica metropoli in cui è impossibile rallentare, fermarsi e ascoltare. Qui i sapori, gli odori, i suoni sono artifici di plastica creati ad hoc per ingrassare la società dei consumi. I sentimenti che vi albergano sono eccessivi, stucchevoli, raggiungono l’apice senza premessa alcuna, privi della necessaria vita. Il mondo della musica, perdonatemi, generalista è uno specchio distorto, disfattista e superficiale, proiezione della nostra società piena di orrori assunti a simulacri incapaci di rimandare ad alcuna realtà fattuale.
Lucio Corsi, invece, proviene da un’altra realtà. Quella in cui tutto si rivela finalmente reale, vivo e imperfetto, vulnerabile, provvisorio. Qui le parole possono tornare ad essere scelte con cura per il potere trasformativo che continuano ad avere nonostante il tripudio del nonsense quotidiano. Solo da questo mondo precario l’urgenza e la necessità di fare musica riescono in un’impresa impossibile: disarmare l’aggressività propria di ogni competizione – siamo a Sanremo, ma per tre minuti ce ne dimentichiamo – con la gentilezza di un semplice messaggio di resa.
In un mondo in cui uomini e donne assumono hobbesianamente la postura dei gladiatori, Volevo essere un duro ci ricorda con semplicità che confrontarsi con le proprie fragilità è il primo passo per recuperare un’umanità smarrita. Il testo ci ricorda, ancora, che vivere la vita è (per niente) un gioco da ragazzi, soprattutto quando le regole le scrivono i grandi, già smaliziati all’inganno.
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Fonte: Agorà. La Filosofia in piazza
Autore: AP (15/02/2025) per Agorasofia
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Articolo tratto interamente da Agorà. La Filosofia in piazza
Photo credit Radio Bruno, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons
Adoro lui e le sue canzoni.
RispondiEliminaMolto umile.
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