venerdì 16 agosto 2024

Università, sempre più precari



Articolo da Roars

Con il disegno di legge recante “Disposizioni in materia di valorizzazione e promozione della ricerca” il governo realizza finalmente il sogno dei rettori e dei tanti eccellenti Principal Investigator (PI) che affollano le università italiane: permettere il reclutamento di manodopera qualificata, flessibile e a basso costo, nel migliore dei casi senza neanche dover passare da procedure di concorso. [Con il testo completo]

La logica è la stessa usata in ormai un trentennio di politiche del lavoro in Italia, dal Pacchetto Treu al Jobs act: moltiplicare le forme contrattuali in modo tale da fornire un menu di contratti ai datori di lavoro, in questo caso le università italiane, che possano usarlo per ridurre i costi del lavoro e avere a disposizione manodopera facilmente sostituibile. Come dice la Ministra Bernini in persona, “Si tratta di una vera e propria cassetta degli attrezzi“.

Ai contratti di ricerca vigenti si affiancano altre 5 figure professionali tutte più flessibili e meno costose. Non è quindi difficile prevedere che i contratti di ricerca finiranno di fatto su un binario morto. Il contratto postdoc, quello che più gli somiglia, ha alcuni indubitabili vantaggi rispetto al contratto di ricerca: 1) prevede una maggiore flessibilità di compiti, compresi la didattica e la terza missione; 2) può essere stipulato anche in assenza di uno specifico progetto di ricerca; 3) ha una durata annuale e non richiede quindi un impegno finanziario iniziale biennale, permettendo una più efficace messa in prova del post-doc; 4) ha costi definiti dal ministero e non è soggetto alla contrattazione collettiva.

Ciò che verosimilmente scaccerà dal mercato anche il contratto post-doc saranno le borse di assistenza all’attività di ricerca: finalmente i Principal Investigators italiani potranno dire di avere anche formalmente i loro Research Assistant. Stessa flessibilità di durata del contratto post-doc, stessa flessibilità di uso, costi sicuramente molto inferiori: la remunerazione è sotto forma di borsa di studio il cui importo è definito dal ministero. E soprattutto, in caso di finanziamento su bandi competitivi, il PI può scegliere chi vuole senza ricorso ad una bando di selezione. L’ambiguità del testo del disegno di legge non pare escludere che un PI possa coltivarsi l’assistente per 3 anni come assistente junior, cui seguiranno 3 anni di assistente senior.

Per lavoretti saltuari e meno impegnativi si potrà ricorrere infine alla collaborazione da parte degli studenti.

Last but not least, i contratti per professore aggiunto: le università potranno finalmente ricorrere senza vincoli a reclutare personale esterno per la didattica che avrà in cambio un titolo ambito di prof. da far scrivere sulla carta intestata e far valere nelle parcelle per i propri clienti.

Con questo disegno di legge si chiude il cerchio della precarizzazione dell’avviamento alla ricerca e si avvera il sogno dei baroni (oops, forse dovevamo scrivere PI) di avere a disposizione personale qualificato a basso costo completamente subordinato e ricattabile.

Questa norma appare come la reazione congiunta di rettori e baroni all’intervento normativo 79/2022 che abolisce l’assegno di ricerca e lo sostituisce con una figura assai più costosa senza prevedere risorse aggiuntive. Non era difficile prevedere che quella fuga in avanti – utile più per piantare bandierine sindacali (contratto collettivo per le fasi iniziali della ricerca) e personali – avrebbe provocato la reazione di un sistema universitario la cui produttività dipende dallo sfruttamento sistematico di lavoro qualificato precario. La reazione è arrivata. E i baroni sono soddisfatti. Basta vedere le reazioni di plauso.

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Fonte: Roars


Autore: 
Redazione ROARS

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Articolo tratto interamente da Roars


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