Articolo da La Fionda
Governo che va, governo che viene, ma la sostanza del problema rimane sempre la stessa: ogni Esecutivo rispecchia il punto di vista datoriale tutelandone in sede legislativa e politica le istanze e gli interessi.
Una sentenza folle che equipara i RLS alle figure aziendali
E’ trascorso un anno dalla rivoluzionaria sentenza che attribuiva al rappresentante dei lavoratori alla sicurezza (RLS) responsabilità penali al pari delle figure aziendali per un infortunio avvenuto in una azienda pugliese, affermando che tale figura avrebbe comunque una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità psico-fisica delle maestranze impegnate in ditta.
Una sentenza discussa ma tale da fare giurisprudenza attribuendo all’RLS, che a rigor di logica dovrebbe essere una figura di rappresentanza, responsabilità dirette per il mancato rispetto delle normative di sicurezza.
La norma valorizza il ruolo di consultazione/coinvolgimento del RLS ma restano ben altre le figure professionali chiamate al rispetto e alla applicazione di norme e prassi atte a garantire la tutela prevenzionistica, del resto anche il Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro non aveva previsto alcuna sanzione penale per i rappresentanti.
In un colpo solo le attribuzioni si sono trasformate in doveri al pari di ben altri ruoli aziendali come il rappresentante del servizio prevenzione e protezione, che invece dipende direttamente dal datore di lavoro.
Possono esistere dei RLS negligenti, come del resto dei delegati RSU complici e subalterni, ma il più delle volte siamo in presenza di continue pressioni datoriali affinché il ruolo sindacale, specificamente legato alla tutela della salute e sicurezza, non abbia la indispensabile agibilità, ad esempio prevedendo un potere di veto per incidere materialmente nella produzione.
Questo breve excursus aiuta a comprendere come nel corso degli anni le figure dei rappresentanti alla sicurezza siano state indebolite ed emarginate anche in sede di contrattazione sindacale, fino ad arrivare a una loro esplicita colpevolizzazione per infortuni che dovrebbero essere a logica imputati alla organizzazione aziendale.
Da ricordare poi altre sentenze, anche della Cassazione, che confermano l’obbligo datoriale di vigilare sull’operato del Preposto aziendale
Le norme del Governo Meloni
Dal 2 agosto sono entrate in vigore le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 103 del 12 luglio scorso, decreto delegato di una legge di due anni or sono (L. 118/2022 del 5 agosto 2022) in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. E attenzione che le nuove norme riguardano anche le questioni ambientali, proprio quando il Governo si appresta a lanciare nuove e inutili grandi opere infrastrutturali.
La ratio del provvedimento legislativo è quella di allentareicontrolli delle aziende in materia ambientale e nelle norme che disciplinano la sicurezza sul lavoro. Per mesi ministri del Governo Meloni hanno lanciato messaggi rassicuranti: il fisco deve essere amico delle imprese, lo stesso dicasi per la Pubblica amministrazione, i controlli da effettuare sulle imprese devono lasciare ampi spazi di manovra alle stesse senza “pregiudizio di colpevolezza”.
Se queste sono le premesse, la riduzione degli adempimenti e del sistema dei controlli diventa una sorta di aiuto concreto alle associazioni datoriali ma segna al contempo il progressivo disimpegno dello Stato dal costruire sistemi efficaci atti a verificare, e sanzionare ove necessario, il corretto adempimento di norme a tutela della salute pubblica.
La protesta degli ispettori del lavoro andrebbe presa sul serio, ad esempio annunciare dieci giorni prima una ispezione in azienda significa rinunciare in partenza a efficaci controlli che di solito avvengono a sorpresa.
Tra un controllo e l’altro poi dovranno passare almeno 10 mesi se non saranno riscontrare criticità; si pensi che nonostante le ultime assunzioni oggi il numero degli ispettori in rapporto alle imprese è talmente basso che possono trascorrere lustri prima che una azienda riceva qualche ispezione.
Il problema non è dato tuttavia solo dall’insufficiente numero degli ispettori preposti alla sicurezza come pensano anche alcune sigle sindacali, ma dall’effettivo potere che gli stessi potranno in futuro esercitare; basti pensare al calcolo del fattore di rischio a determinare le attività in azienda e anche il sistema dei controlli. La probabilità del rischio potrebbe dimostrarsi un’arma a doppio taglio se pensiamo che molti infortuni , e malattie professionali, si verificano nelle piccole imprese e in settori dove in teoria sarebbe remota la eventualità di un sinistro.
Nel mondo del lavoro, si parla sovente non di salute e sicurezza ma di benessere organizzativo, mettere in condizione la forza lavoro di accrescere la propria produttività non determina a nostro avviso una tutela reale della salute. Le visite mediche aziendali sono indispensabili per appurare la idoneità del singolo alle mansioni richieste, ma nelle piccole e medie imprese la impossibilità di essere ricollocato in altre mansioni porta la forza lavoro a non dichiarare patologie di varia natura. E qui entrano in gioco le effettive tutele (assai carenti) per la forza lavoro nelle piccole aziende che poi rappresentano una parte rilevante del sistema produttivo italiano
La nozione di benessere declina dal punto di vista aziendale l’approccio alla sicurezza, eppure sulla carta dovrebbero essere analizzati tutti i fattori che influenzano positivamente la salute fisica, mentale ed emotiva dei lavoratori, inclusa la gestione dello stress, l’equilibrio tra vita lavorativa e personale (ad esempio accadimento di familiari anziani o figli piccoli) ma la pratica diffusa evidenzia situazioni ben diverse.
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Fonte: La Fionda
Autore: Federico Giusti
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Articolo tratto interamente da La Fionda
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