Articolo da Sport popolare
“Esistono i tifosi di calcio... e poi esistono i tifosi della Roma”: prendo questa storica frase del compianto presidente giallorosso Dino Viola per ricordare una figura che, gli stessi supporter capitolini, ribattezzarono ‘Core de Roma’ per il suo attaccamento ai colori giallorossi nel corso della sua carriera calcistica: Giacomo Losi.
Losi, purtroppo ci ha lasciato domenica scorsa, 4 febbraio 2024, a quasi 88 anni di età. Era infatti nato a Soncino, piccolo paese della provincia lombarda di Mantova, il 10 settembre 1935.
Nel corso della sua carriera, che si è svolta soprattutto all’ombra del Cupolone, egli disputò ben 15 stagioni totali, tra gli anni ’50 e ’60 del XX secolo, raggiungendo un discreto numero di presenze: ben 386. Questi numeri gli hanno permesso di essere, ancora oggi, il giocatore con più presenze nel club dopo due icone quali Francesco Totti e Daniele De Rossi.
Giacomo Losi si fece anche conoscere e rispettare per il suo modo “gentile” di giocare. Il soprannome “Core de Roma”, però, risale a un episodio in particolare della sua lunga carriera con la casacca giallorossa addosso.
L’8 gennaio 1961 nello specifico, si stava disputando la partita Roma-Sampdoria allo stadio Olimpico della Città Eterna. Nonostante la squadra blucerchiata stava giocando fuori casa si trovava, a metà secondo tempo, inaspettatamente in vantaggio dopo che i gol di Cucchiarini e Bighenti avevano ribaltato l’iniziale vantaggio giallorosso firmato Lojacono.
Losi si infortunò nel corso di quel match ma non poteva essere sostituito visto che le regole del tempo non prevedevano sostituzioni. Per questo motivo venne spostato a giocare sull’ala, che non era certo il suo ruolo visto che egli era un difensore classico.
Ma questo non era abbastanza e il piccolo difensore, alto appena 168 cm, decise di fare ancora di più per entrare nel cuore dei supporter presenti sugli spalti. Quando infatti mancavano poco più di 10 minuti alla fine del match Losi segnò di testa, nonostante la sua non alta statura, il gol del 3-2 finale.
Quello fu il primo delle due sole marcatura che Losi fece in quei 15 anni con la lupa capitolina sul petto. Le circostanze in cui avvenne la prima marcatura, però, bastarono per farlo diventare un vero e proprio “Core De Roma”.
Ciò che ha rappresentato questo piccolo difensore per un amante dei colori giallorossi come me travalica il semplice rettangolo da gioco. Giacomo Losi infatti, nei suoi primissimi anni di vita, prese parte in maniera attiva alla guerra di Liberazione partigiana dai nazi-fascisti. Core de Roma, da questo punto di vista, ha un primato del tutto invidiabile: fu uno dei pochi partigiani che, una volta terminato il conflitto, decise di portare avanti la sua carriera di calciatore in una squadra dell’Italia centro-meridionale.
Quello che spinse il futuro difensore a unirsi alla file dei partigiani della provincia lombarda di Mantova fu sicuramente la presa di posizione politica da parte dei suoi genitori.
Entrambi infatti, sia il padre facchino che la madre filandiera, erano dei convinti militanti anti-fascisti e si opposero fin da subito al regime dittatoriale di Benito Mussolini.
E lo stesso Losi a confermarci questa forte presa di posizione politica dei suoi genitori in un’intervista rilasciata qualche anno dopo: “Mio padre Pietro lavorava in una cooperativa di facchini che riempivano e svuotavano i grandi silos. Mia madre Maria, era in filanda. E di quelle filandere toste, che andavano a discutere col padrone. Me la ricordo, nel primo dopoguerra, che si dava da fare a organizzare i comizi di Pajetta. Mio padre non ha mai voluto saperne della tessera del Fascio. Era di famiglia socialista...”
All’inizio, il periodo bellico venne vissuto nel pieno della sua drammaticità. Come spiegato stesso, infatti,“della guerra ho un ricordo molto brutto perché i bombardamenti erano sempre di notte. Noi eravamo piccoli, ma ricordo che un aereo alleato, lo chiamavamo ‘Pippo’, cercava di buttare giù i ponti. Ma non sono mai riusciti a beccarli, distrussero solo quello della ferrovia. Noi ragazzi, a Soncino, andavamo al fiume di giorno e quando sentivamo l’allarme che suonava dalla torre civica del paese scappavamo tutti nei rifugi sotto i bastioni. Aspettavamo che la paura passasse in queste grotte sotto terra”.
La situazione cambiò nel settembre 1943 quando, firmato l’armistizio con le truppe anglo-americane, cominciò quel periodo storico che ancora oggi è conosciuto con il termine di Resistenza. A quei fatti storici ognuno rispose a proprio modo e, continua a spiegare Losi, “i miei erano lavoratori che dovevano guadagnarsi la pagnotta. Poi c’erano gli altri, i figli del fascista del paese, che erano i signorini con i soldi. Noi, invece, eravamo ruspanti e pensavamo alla Liberazione”.
I compiti che un giovane poteva svolgere nell’ambito della lotta partigiana non erano certo legati a ciò che succedeva al fronte. Nelle retrovie, però, il compito di queste piccole figure era più che essenziale sotto determinati punti di vista.
Fonte: Sport popolare
Autore: Roberto Consiglio
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