martedì 27 giugno 2023

27 giugno 1980 – Strage di Ustica: un DC-9 della Itavia, in volo da Bologna a Palermo, alle 20:59 esplode nei cieli a nord di Ustica

Museo per la memoria di Ustica 2


Articolo da Wikipedia, l'enciclopedia libera

La strage di Ustica è stato un incidente aereo, avvenuto alle 20:59 (UTC+2) del 27 giugno 1980 nel Mar Tirreno meridionale, nel tratto compreso tra le isole italiane di Ponza e Ustica.[2][3][4]

Vi fu coinvolto il volo di linea IH870 della compagnia aerea Itavia, partito dall'aeroporto di Bologna-Borgo Panigale e diretto all'aeroporto di Palermo-Punta Raisi. La partenza era programmata, come da orario della compagnia Itavia, per le 18:15, ma venne posticipata di quasi due ore a causa dell'arrivo in ritardo dell'aeromobile Douglas DC-9-15 con marche I-TIGI.

Quest'ultimo perse il contatto radio col Centro di controllo d'area di Roma (nominativi radio Roma Radar con frequenza 124,2 MHz e, successivamente, Roma Controllo, frequenza 128,8 MHz), responsabile del servizio di controllo del traffico aereo in quel settore e ubicato presso l'aeroporto di Roma-Ciampino, si spezzò - come appurato dopo lunghe analisi dei dati radar e con il successivo recupero del relitto dal fondo del mare - in almeno due grossi spezzoni e cadde nel mar Tirreno. Nell'incidente morirono tutti gli 81 occupanti dell'aeromobile, tra passeggeri ed equipaggio. È il quarto disastro aereo italiano per numero di vittime, dopo quelli del volo Alitalia 4128, del volo Alitalia 112 e di Linate.

A diversi decenni di distanza, vari aspetti dell'incidente non sono ancora chiariti in maniera compiuta, a partire dalla dinamica stessa.[5]

Varie ipotesi sono state formulate nel corso degli anni riguardo alla natura, alla dinamica e alle cause dell'incidente: una delle più battute, ed accettata con valenza in sede penale e risarcitoria, riguarda un coinvolgimento internazionale, in particolare francese, libico e statunitense, con il DC-9 che si sarebbe trovato sulla linea di fuoco di un combattimento aereo e sarebbe stato bersagliato per errore da un missile lanciato nello specifico da un caccia francese o NATO con l'intenzione di colpire un MiG delle forze aeree dello Stato nordafricano[6][7][8].

Altre ipotesi, tuttavia meno accreditate e, alla prova dei fatti, rivelatesi inconsistenti, parlano di cedimento strutturale o di attentato terroristico (un ordigno esplosivo di cui è stata ipotizzata la collocazione a bordo in varie posizioni, per ultimo nella toilette del velivolo). Quest'ultima ipotesi appare in forte contrasto sia con la scoperta di varie parti integre della fusoliera, quali vani carrelli e bagagliaio e perfino il sedile del WC della toilette, risultato intatto, che suggerivano che non vi fosse stata alcuna esplosione interna[9], sia con la accertata presenza di sostanze esplosive come il T4 e il TNT compresenti su alcuni rottami e suppellettili recuperate e perciò indicativa - per la delicatezza della lavorazione congiunta delle due sostanze - di un ordigno esplosivo di fabbricazione industriale e non artigianale.

La più autorevole indicazione della causa del disastro venne nel febbraio 2007 dal Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, che all'epoca dell'incidente era il Presidente del Consiglio dei Ministri in carica, il quale, riferendo all'Autorità giudiziaria, attribuì la responsabilità involontaria dell'abbattimento a un missile francese «a risonanza e non a impatto», lanciato da un velivolo dell'Aéronavale decollato dalla portaerei Clemenceau ma oggi, dopo ulteriori indagini, si propende per la portaerei Foch, e che furono i Servizi Segreti italiani ad informare lui e l'allora (2007) Ministro dell'Interno Giuliano Amato dell'accaduto[10]. Il missile era destinato, nelle intenzioni del lanciatore, a un velivolo libico su cui, a detta di Cossiga, si sarebbe trovato il dittatore libico Mu'ammar Gheddafi[11]. Tesi analoga è alla base della conferma, da parte della Cassazione, della sentenza di condanna civile al risarcimento ai familiari delle vittime, irrogata contro i Ministeri di Trasporti e Difesa dal tribunale di Palermo[12].

La compagnia aerea Itavia, di proprietà di Aldo Davanzali, era già pesantemente indebitata prima dell'incidente[13][14] e cessò le operazioni poco meno di sei mesi dopo, il 10 dicembre 1980; il 12 dicembre le fu revocata la licenza di operatore aereo[13] con messa a rischio dei livelli occupazionali[13] e, nel giro di un anno, si aprì la procedura di amministrazione controllata, cui fece seguito il conferimento di flotta aerea e personale ad Aermediterranea, società partecipata dall'allora compagnia di bandiera Alitalia e dalla sua consociata ATI. Nel 2018 la Cassazione ha condannato i ministeri delle Infrastrutture e della Difesa a risarcire gli eredi del titolare della compagnia Itavia per il dissesto finanziario al quale andò incontro dopo il disastro aereo di Ustica; i due ministeri sono stati riconosciuti colpevoli dell'omesso controllo della situazione di rischio venutasi a creare nei cieli di Ustica dove aerei militari non autorizzati e non identificati incrociarono l'aerovia assegnata al volo Itavia.[15]

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Photo credit Fabio Di Francesco, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons


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