martedì 13 dicembre 2022

L’Italia è l’unico Paese Ocse con retribuzioni in calo negli ultimi 30 anni



Articolo da  Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile - ASviS

Rapporto Forum DD: l’Italia è l’unico Paese Ocse con retribuzioni in calo negli ultimi 30 anni. Donne e giovani le categorie più colpite. Serve limitare l’abuso di forme contrattuali atipiche e rendere il lavoro più stabile.   9/12/22

Polarizzazione occupazionale, globalizzazione che mette a rischio la posizione dei lavoratori con qualifiche medio-basse e introduzione di forme di lavoro non-standard. Sono i principali motivi che secondo il rapporto “I lavoratori e le lavoratrici a rischio di bassi salari in Italia”, pubblicato il 28 novembre dal Forum Disuguaglianze Diversità, incidono sul declino dei livelli salariali in Italia.

In Italia l’incidenza dei bassi salari sul totale dei lavoratori è aumentata dal 25,9% nel 1990 al 32,2% nel 2017. Tra il 1990 e il 2020, l’Italia è l’unico dei Paesi Ocse che registra una diminuzione dei salari medi (-2,9%). Nel periodo tra il 1990 ed il 2017 i redditi da lavoro sono diventati più diseguali, passando da un indice di Gini pari a 36.6 punti nel 1990 al valore di 44.7 nel 2017.

Guardando i risultati a livello familiare, l’indicatore “in-work poverty” adottato da Eurostat evidenzia che in Italia, nel 2019, l’11,8% dei lavoratori era povero. Un dato di circa tre punti percentuali in più rispetto alla media europea.

Il rischio di basse retribuzioni si annida in alcuni settori: in particolare, evidenzia il Rapporto, in quello dei servizi, inteso sia come lavoro in alberghi e ristoranti, che come servizi alle imprese e magazzinaggio. Al contrario, il settore con l’incidenza più bassa è quello delle attività finanziarie ed assicurative.

Dipendenti privati, donne e giovani. Guardando più da vicino i dati dei lavoratori dipendenti privati, nel 2018, il 30% di questi ha percepito bassi salari (guadagna meno del 60% della mediana delle retribuzioni annuali). L’incidenza dei bassi salari è più alta nelle donne, nonostante l’occupazione femminile registri un aumento negli ultimi decenni, e nella fascia di età dei giovani tra i 16 e i 34 anni.

Il rischio di bassi salari, evidenzia il Rapporto, aumenta con il ricorso ai contratti a tempo determinato e dei part-time, tipologie molto diffuse in Italia. Nel caso dei contratti a tempo determinato (in particolare di durata inferiore all’anno), il 61,7% risulta avere una retribuzione inferiore alla soglia annuale. I contratti part-time, passati da meno del 5% nel 1990 a circa il 30% del 2017, nascondono il fenomeno dei “falsi” part-time. Incrociando i dati Inps con le interviste, è emerso che circa il 40% dei contratti part-time registrati all’Inps sono effettivamente lavori full-time.

Lavoratori autonomi e gig workers. In Italia, nel 2018, su un totale di 25,4 milioni di lavoratori, circa il 19,5% svolgeva un lavoro autonomo. Si tratta di uno dei valori più elevati in Europa, dove la media è del 15,3%. La categoria di lavoro autonomo che cresce maggiormente è legata ai lavori di tipo intellettuale, nei quali si celano i “lavoratori economicamente dipendenti”, cioè i collaboratori e le false partite Iva, che secondo l’Inps corrispondono a lavoratori autonomi che svolgono la loro attività nei confronti di un solo committente. Un gruppo di lavoratori certamente soggetto a rischio di bassi redditi, in quanto il loro inquadramento combina gli aspetti più negativi del lavoro autonomo e di quello dipendente, dando vita a figure spesso dipendenti a tutti gli effetti ma che devono fronteggiare costi del lavoro più elevati e molti meno diritti.

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Fonte: Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile - ASviS 


Autore: 
Tommaso Tautonico

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Articolo tratto interamente da Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile - ASviS 



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