Articolo da Milano In Movimento
Silenzio. Non sono ancora passate 48 ore dallo sconvolgente omicidio razziale di Alika Ogorchukwu dello scorso 29 luglio. Eppure, attorno a questa vicenda aleggia un’opprimente coltre di silenzio. Assordante, inquietante.
Un uomo invalido di 39 anni ucciso dalla violenza inaudita di un carnefice senza pietà. Un uomo nero massacrato da un uomo bianco sul corso principale di una cittadina di 45mila abitanti, in pieno giorno, sotto gli occhi indifferenti e omertosi dei passanti che, invece di intervenire, hanno preferito filmare l’accaduto. E se sono ingiustificabili l’indifferenza e il mancato intervento degli spettatori di tale atrocità, è ancora più incomprensibile e spaventoso il silenzio istituzionale.
Le poche parole spese si sono limitate a un ping pong di scarico di responsabilità a cui siamo ormai abituati, atto ad ampliare il proprio elettorato più che a denunciare un accadimento di tale gravità. Insipide le parole di Letta, vuote quelle di Meloni e FDI. Tra tutti, il commissario di Lega Marche Riccardo Marchetti ha espresso il commento più colorito, affermando che, aldilà della tragedia, “Matteo Salvini è stato l’unico Ministro dell’Interno a garantire la sicurezza del Paese azzerando gli sbarchi e investendo ingenti risorse per aumentare l’organico delle Forze dell’Ordine”.
La stessa sicurezza che ha permesso al collega di partito Massimo Adriatici, ex Assessore alla sicurezza di Voghera, di sparare intenzionalmente a Youns El Boussettaoui, cittadino marocchino residente in Italia, causandone la morte per presunta legittima difesa poco più di un anno fa. La sicurezza che ha spinto Luca Traini a commettere una tentata strage a matrice razziale a Macerata, nel 2018. La sicurezza che ha ucciso Idy Diene, Samb Moudou e Diop Mor a Firenze, il giovanissimo Willy Monteiro a Grottaferrata, Emmanuel Chidi Namdi a Fermo, Giovanni Valent a Udine e Jerry Maslo a Villa Literno. Un bollettino di morte e sofferenza che non vede mai fine se consideriamo le morti di coloro che hanno perso la vita in nome della sicurezza.
Le timide reazioni politiche degli scorsi giorni sono il segno di un crescente adattamento ai crimini d’odio e alla profilazione etnica. Crimini come quello del 29 luglio sembrano avvenimenti sporadici, casi isolati, piccole macchie nere su una enorme e limpida tovaglia bianca. La realtà è che Emmanuel, a Fermo, è morto sotto i colpi ripetuti di un assassino senza pietà. Sotto gli occhi di testimoni che non hanno fatto nulla per evitare la tragedia. Ed è innegabile che lo stesso valga per tante e tanti altri che hanno subito violenze inaudite nell’indifferenza generale e dilagante di un paese in cui la criminalità razziale ha radici solidissime e ben piantate, alimentate dalla narrativa della paura e dalla demagogia da quattro soldi del populismo politico dell’ultimo decennio, originato dalle crisi migratorie che hanno colpito l’Europa dall’inizio del XXI secolo. Una narrativa che genera un distacco, una barriera, un confine.
Indifferenza.
L’ indifferenza che genera la morte di un migrante in mare dopo aver ignorato le richieste di soccorso, il fermo di un calciatore famoso fermato per crimine di somiglianza ad un identikit generico, la morte per indigenza nei tunnel delle stazioni di Milano di numerosi senzatetto transitanti, l’omicidio di un uomo, padre di due figli, ucciso a bastonate per aver (a detta del carnefice) “ecceduto nelle richieste di elemosina e negli apprezzamenti alla compagna”.
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Fonte: Milano In Movimento
Autore: Roscio
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Articolo tratto interamente da Milano In Movimento
Una persona civile e umana, interviene sicuramente.
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