martedì 10 maggio 2022

Rapporto di ActionAid: le donne braccianti in Italia sono sfruttate e discriminate



Articolo da Valori

Diritti violati e paghe da fame. Ricatti, molestie e violenze, perfino sessuali. Il rapporto “Cambia Terra”, curato da ActionAid, è una fotografia a tinte fosche delle condizioni di lavoro e vita delle donne impiegate nei campi e nelle serre nell’Arco Ionico, l’area che comprende le provincie di Matera, Taranto e Cosenza.

Chi sono le lavoratrici del settore agricolo

Nell’Unione europea sono circa 8,6 milioni le persone impiegate in agricoltura, il 4,3% dell’occupazione totale. Una manodopera principalmente familiare in cui, tuttavia, è in costante aumento l’impiego di forza lavoro extra-familiare, nazionale e straniera. Soprattutto per il lavoro stagionale. Tra il 2011 e il 2017 la mobilità all’interno dell’Unione europea di operaie e operai agricoli stagionali è aumentata del 36%. E la manodopera extracomunitaria è cresciuta del 31%. La maggior parte di quella europea proviene da Romania, Polonia e Bulgaria.

L’occupazione nel settore agricolo resta principalmente maschile: 65% di uomini contro 35% di donne. Solo il 30% delle lavoratrici è impiegato a tempo pieno, contro il 52% di part-time. L’alta incidenza di quest’ultimo, come in altri settori produttivi, aumenta l’insicurezza lavorativa e la vulnerabilità delle donne.

L’impossibilità di misurare il lavoro sommerso

I dati ufficiali, però, non riescono a tenere conto della realtà quotidiana del lavoro in agricoltura, che è fatta anche di irregolarità contrattuali, quando non di totale assenza di contratti di lavoro. Secondo le stime della European Platform Tackling Undeclared Work l’occupazione agricola stagionale non registrata è pari al 32%. Dato che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima invece al 61,2%. Un contesto che alimenta la vulnerabilità dei lavoratori e, soprattutto, delle lavoratrici.

In Italia nel 2020 erano 1,04 milioni le persone impiegate in agricoltura. Il ministero del Lavoro stima che siano circa 160mila i lavoratori e le lavoratrici irregolari. Mentre per il sindacato Flai-Cgil si tratterebbe di almeno 180mila persone. Il 39% dei rapporti di lavoro nel comparto agricolo sarebbe irregolare. Coinvolgendo soprattutto lavoratrici e lavoratori stranieri. Una condizione che espone operaie e operai a forme illegali di reclutamento, bassi salari, orari eccessivi di lavoro e altre forme di sfruttamento che sfociano nel lavoro forzato, quando presenta coercizione attraverso minacce, violenze, sequestro dei documenti.

Un approccio intersezionale è necessario

Le donne occupate in agricoltura in Italia sono 233mila e per il 48,3% risiedono al Sud. Le straniere sono circa 31mila, ovvero il 3,2% delle straniere occupate. Anche se la presenza femminile nel comparto è nettamente superiore ai dati ufficiali. Secondo le stime sul lavoro irregolare, infatti, le lavoratrici sfruttate in Italia sarebbero tra le 51 e le 57mila.

È solo da pochi anni che si è iniziato a indagare sulla condizione di vita e di lavoro delle operaie agricole. Che presenta specifiche caratteristiche di discriminazione e sfruttamento. Evidenti innanzitutto nella disparità salariale tra uomini e donne. Nella Piana del Sele in Campania, per esempio, agli uomini è corrisposto un salario di circa 40-42 euro al giorno, contro i 28 al massimo delle donne. Nelle serre in Sicilia, invece, una lavoratrice è pagata tra i 25 e i 32 euro al giorno, mentre un lavoratore riceve almeno 40 euro. Esiste una vera e propria gerarchia salariale: un uomo italiano guadagna più di una donna italiana, la quale riceve un salario più alto di un uomo straniero. E, in fondo, ci sono le donne straniere.

C’è poi la pratica, diffusa, di dichiarare meno giornate di quante effettivamente lavorate. Ciò impedisce a uomini e donne di accedere a indennità di infortunio, malattia e disoccupazione. E alle donne, in particolare, a quella di maternità. Le donne, sulle cui spalle ricadono principalmente i lavori domestici e di cura, faticano a conciliare i lunghi spostamenti e gli orari con le altre attività. Il costo, la distanza e gli orari incompatibili rendono pressoché impossibile fare ricorso a servizi pubblici, come asili nido e scuole materne.

Continua la lettura su Valori

Fonte: Valori


Autore: 
Claudia Vago


Licenza: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.



Articolo tratto interamente da 
Valori


6 commenti:

I commenti sono in moderazione e sono pubblicati prima possibile. Si prega di non inserire collegamenti attivi, altrimenti saranno eliminati. L'opinione dei lettori è l'anima dei blog e ringrazio tutti per la partecipazione. Vi ricordo, prima di lasciare qualche commento, di leggere attentamente la privacy policy. Ricordatevi che lasciando un commento nel modulo, il vostro username resterà inserito nella pagina web e sarà cliccabile, inoltre potrà portare al vostro profilo a seconda della impostazione che si è scelta.