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La strage di Capaci fu un attentato di stampo terroristico - mafioso compiuto da Cosa Nostra il 23 maggio 1992 nei pressi di Capaci (sul territorio di Isola delle Femmine) con una carica composta da tritolo, RDX e nitrato d'ammonio con potenza pari a 500 kg di tritolo, per uccidere il magistrato antimafia Giovanni Falcone. Gli attentatori fecero esplodere un tratto dell'autostrada A29, alle ore 17:57, mentre vi transitava sopra il corteo della scorta con a bordo il giudice, la moglie e gli agenti di Polizia, sistemati in tre Fiat Croma blindate. Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l'autista giudiziario Giuseppe Costanza.
L'uccisione di Falcone venne decisa nel corso di alcune riunioni della "Commissione interprovinciale" di Cosa Nostra, avvenute nei pressi di Enna tra il settembre-dicembre 1991, e presiedute dal boss Salvatore Riina, nelle quali vennero individuati anche altri obiettivi da colpire[2]. Nello stesso periodo, avvenne anche un'altra riunione nei pressi di Castelvetrano (a cui parteciparono Salvatore Riina, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Sinacori, Mariano Agate, Salvatore Biondino e i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano), in cui vennero organizzati gli attentati contro il giudice Falcone, l'allora ministro Claudio Martelli e il presentatore televisivo Maurizio Costanzo[3].
In seguito alla sentenza della Cassazione che confermava gli ergastoli del Maxiprocesso di Palermo (30 gennaio 1992)[4], si tennero una riunione della "Commissione interprovinciale" ed alcune della "Commissione provinciale" di Cosa Nostra, sempre convocate da Riina, in cui si decise di dare inizio agli attentati: per queste ragioni, nel febbraio 1992 venne inviato a Roma un gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani (Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Sinacori, Lorenzo Tinnirello, Cristofaro Cannella, Francesco Geraci), che avrebbe dovuto uccidere Falcone, Martelli o in alternativa Costanzo, facendo uso di armi da fuoco. Qualche tempo dopo però Riina li richiamò in Sicilia perché voleva che l'attentato a Falcone fosse eseguito sull'isola adoperando l'esplosivo[2][3][5]. Nel corso delle riunioni della "Commissione provinciale", fu scelto Giovanni Brusca come coordinatore dei dettagli delle operazioni[6].
La ricerca del luogo e la prova dell'esplosivo[7]
Una volta stabilito di utilizzare dell'esplosivo, a Brusca vennero suggerite due opzioni: inserire dell'esplosivo in alcuni cassonetti della spazzatura posti vicino all'abitazione di Falcone, o in un sottopassaggio pedonale che attraversava l'autostrada A29. Entrambe le proposte furono scartate, in quanto per la prima si rischiava di avere troppe vittime "innocenti", mentre per la seconda Pietro Rampulla, esperto in esplosivi, suggerì di trovare un luogo stretto dove posizionare le cariche, in modo da ottenere una maggiore deflagrazione. Dopo alcune ricerche, venne trovato un cunicolo di scolo dell'acqua piovana, che attraversava l'autostrada da un lato all'altro.
Nell'aprile del '92 Brusca effettuò una prova dell'esplosivo in Contrada Rebuttone, nei pressi di Altofonte: dopo aver scavato nel terreno, collocò un cunicolo delle stesse dimensioni di quello presente sotto l'autostrada e riempì la buca con del cemento; all'interno del cunicolo inserì dell'esplosivo, e vi collocò un detonatore elettrico. Vennero utilizzate la stessa trasmittente e la stessa ricevente che furono poi impiegate nell'attentato a Capaci, procurate da Pietro Rampulla: si trattava di un radiocomando per aeromodellismo. L'esplosione che venne generata, nonostante la carica fosse in quantità di gran lunga inferiore a quella utilizzata nell'attentato, fu abbastanza potente.[7]
I preparativi
Tra aprile e maggio, Salvatore Biondino, Raffaele Ganci e Salvatore Cancemi (rispettivamente capi dei "mandamenti" di San Lorenzo, della Noce e di Porta Nuova) compirono alcuni sopralluoghi presso l'autostrada A29, nella zona di Capaci, per individuare un luogo adatto per la realizzazione dell'attentato e per gli appostamenti[8][6]. Nello stesso periodo avvennero riunioni organizzative nei pressi di Altofonte (a cui parteciparono Giovanni Brusca, Antonino Gioè, Gioacchino La Barbera, Pietro Rampulla, Santino Di Matteo, Leoluca Bagarella), in cui avvenne il travaso in 13 bidoncini di 200 kg di esplosivo da cava procurati da Giuseppe Agrigento (mafioso di San Cipirello)[6]. I bidoncini vennero poi portati nella villetta di Antonino Troìa (sottocapo della Famiglia di Capaci)[6], dove avvenne un'altra riunione (a cui parteciparono anche Raffaele Ganci, Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Giovanni Battaglia, Salvatore Biondino e Salvatore Biondo), nel corso della quale avvenne il travaso dell'altra parte di esplosivo (tritolo e T4[9]) procurata da Biondino e da Giuseppe Graviano (capo della Famiglia di Brancaccio)[9].
Negli stessi giorni Brusca, La Barbera, Di Matteo, Ferrante, Troìa, Biondino e Rampulla provarono varie volte il funzionamento dei congegni elettrici che erano stati procurati da Rampulla stesso e dovevano servire per l'esplosione[8][9]. Effettuarono varie prove di velocità, e collocarono sul tratto autostradale antecedente il punto dell'esplosione un frigorifero e dei segni di vernice rossa, che al passaggio del corteo servivano a segnalare il momento in cui azionare il radiocomando, per compensare il ritardo di millisecondi che l'impulso avrebbe impiegato per attivare il detonatore. Tagliarono inoltre i rami degli alberi che impedivano la visuale dell'autostrada[9]. La sera dell'8 maggio Brusca, La Barbera, Gioè, Troia e Rampulla provvidero a sistemare con uno skateboard i tredici bidoncini (caricati in tutto con circa 400 kg di miscela esplosiva[9]) nel cunicolo di drenaggio sotto l'autostrada, nel tratto dello svincolo di Capaci, mentre nelle vicinanze Bagarella, Biondo, Biondino e Battaglia svolgevano le funzioni di sentinelle[8][9].
Nella metà di maggio Raffaele Ganci, i figli Domenico e Calogero e il nipote Antonino Galliano si occuparono di controllare i movimenti delle due Fiat Croma e della Lancia Thema blindate che sostavano sotto casa di Falcone a Palermo per capire quando il giudice sarebbe tornato da Roma[9]. Nessuna verità definitiva fu invece acquisita "in sede processuale sull'identità della fonte che aveva comunicato alla mafia la partenza di Falcone da Roma e l'arrivo a Palermo per l'ora stabilita"[10].
L'attentato
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