mercoledì 25 maggio 2022

Il sapore amaro del cioccolato



Articolo da Valori

Deforestazione, sfruttamento del lavoro, anche minorile, uso di pesticidi. Il cioccolato ha, troppo spesso, un sapore amaro. Eppure si moltiplicano le esperienze che, con successo, riescono a rendere sostenibile la filiera del cacao.

“Cibo degli dei”. Questo significa l’espressione maya “kakaw uhanal” da cui deriva il termine “cacao”. Secondo una leggenda azteca, infatti, l’albero del cacao fu un dono agli uomini del dio Quetzalcoatl. Una pianta rubata agli altri dei e i cui semi erano in grado di infondere forza. Dall’America centrale i Conquistadores portarono il cacao in Europa e la passione per la bevanda calda che se ne ricavava contagiò rapidamente tutte le corti del Vecchio Continente. Oggi non c’è angolo del Pianeta in cui non si consumi cioccolato, il principale derivato del cacao.

Ogni anno si producono nel mondo 5 milioni di tonnellate di cacao

Ogni anno nel mondo se ne producono 5 milioni di tonnellate. Il doppio rispetto a 30 anni fa. E il dato è in continua crescita. Se il cacao è utilizzato ovunque, sono principalmente due i continenti di produzione: America Latina e Africa. Da quest’ultima, in particolare, proviene il 77% del cacao acquistato dalle multinazionali dolciarie. Il 65% dell’offerta mondiale arriva in particolare da due soli Paesi: Costa d’Avorio e Ghana. L’Unione europea è il maggiore importatore.

Un prodotto il cui mercato vale 100 miliardi di dollari all’anno, che solo in parte vanno ai produttori: 2 miliardi, ovvero il 2%. La maggior parte dei profitti rimane nelle mani di chi si occupa della lavorazione delle fave e della distribuzione dei prodotti lavorati.

Un pugno di multinazionali determina il prezzo del cacao

Perché il cacao non genera ricchezza per i Paesi produttori? Perché a decidere i prezzi sono le grandi aziende che controllano il mercato. Cargill, Olam, Barry Callebaut. E quelle che lo trasformano in cioccolato: Mars, Nestlé, Ferrero, Meji. E nessuna di loro è africana. «Ai produttori è di fatto impedito di trasformare localmente la materia prima», dichiara Andrea Mecozzi, fondatore di Chocofair e uno dei massimi esperti del settore in Italia. «Le ragioni che impediscono di sviluppare processi di trasformazione nei Paesi produttori della materia prima sono soprattutto politiche».

L’organizzazione del sistema economico globale ha assegnato ai Paesi in via di sviluppo il ruolo di produzione e esportazione di materie prime, costringendoli a importare beni da altre nazioni. Frenando lo sviluppo di un’economia locale in grado di generare ricchezza. Ed è quello che succede anche con il cacao. Arrivando a casi emblematici e paradossali, come quello della Costa d’Avorio che, come sottolinea Mecozzi, «produce troppo. Le multinazionali, remunerando la quantità e non la qualità, hanno spinto i coltivatori ad aumentare la produzione. Abbandonando le antiche varietà che potevano essere coltivate a biologico con altre che producono di più, ma impoveriscono il terreno e incentivano la deforestazione». Così, l’eccesso di produzione fa sì che il prezzo, determinato dai compratori, diminuisca.

La speculazione sulle materie prime

Il cacao, come altre commodities, viene acquistato dalle multinazionali attraverso il mercato. In particolare, ad essere acquistati sono dei contratti futures. Ovvero l’impegno ad acquistare a un prezzo predeterminato un bene di cui si usufruirà in futuro. I luoghi in cui si scambiano contratti futures sul cacao sono tre: ICE Futures US di New York, ICE Futures Europe e CME Europe di Londra.

Tali contratti sono usati, di fatto, da centinaia di anni per aiutare i contadini ad affrontare l’incertezza dei raccolti. Per esempio a causa di condizioni climatiche impreviste che possono comprometterli. Il loro scopo originario era consentire agli agricoltori di vendere i raccolti in una data futura a un prezzo garantito. Tuttavia, questi stessi contratti possono essere acquistati e venduti da speculatori che non hanno nessun interesse rispetto all’effettiva vendita del cibo. Invece, con il commercio dei futures possono trarre profitto se i prezzi cambiano nel corso del tempo. In sostanza scommettendo sul prezzo del cibo.

L’associazione dei produttori e la regolamentazione del settore

Nel 2019 Ghana e Costa d’Avorio hanno lanciato un’iniziativa congiunta che, grosso modo come l’Opec, l’associazione dei maggiori produttori di petrolio, mirava a regolamentare e tutelare il mercato del cacao. La “Copec” ha deciso di imporre agli importatori di cacao una tassa di 400 dollari a tonnellata, in aggiunta al prezzo di mercato determinato dalle quotazioni di Borsa. Dopo un’accettazione iniziale, le multinazionali hanno avviato una battaglia per non pagare la tassa. Arrivando ad agire sull’Intercontinental Exchange (Ice), la Borsa in cui vengono negoziati i futures di diverse materie prime come il cacao, il caffè, il cotone, lo zucchero. Ciò al fine di utilizzare le scorte immagazzinate per fronteggiare situazioni di emergenza. Bypassando così i due Paesi produttori.

Ghana e Costa d’Avorio hanno reagito con una campagna mediatica, accusando Mars e Hershey’s di non pagare la sovrattassa negoziata per aiutare i contadini a uscire da una condizione di povertà. Soprattutto ora che, a causa della pandemia, il prezzo del cacao è sceso riducendo ulteriormente i margini di guadagno degli agricoltori. 

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Fonte: Valori


Autore: 
Claudia Vago


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Articolo tratto interamente da 
Valori



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