giovedì 8 giugno 2023

Lgbt+: in Italia aumentano le discriminazioni



Articolo da InGenere.it 

La nuova indagine dell'Istat sulle persone lesbiche, gay e bisessuali in Italia conferma una situazione di forte disagio e discriminazione che le persone non eterosessuali si trovano a vivere negli ambienti di lavoro e di studio del nostro paese

Per il secondo anno consecutivo, l'Istat – in collaborazione con l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) – ha condotto l’indagine sulle discriminazioni che colpiscono le persone lesbiche, gay e bisessuali in Italia.[1] Come lo scorso anno, l’indagine è stata svolta utilizzando un questionario online a cui hanno risposto nel corso del 2022 circa 1.200 persone maggiorenni che al momento della rilevazione vivevano abitualmente in Italia, non erano in unione civile e non lo erano state in passato. Un campione più contenuto rispetto alla rilevazione precedente – quando a partecipare furono oltre 20.000 persone – che ha però prodotto risultati di rilievo per comprendere lo stato dell’arte dell’inclusione lavorativa della popolazione Lgb in Italia, e le sfide che la stessa continua a dover affrontare in ogni ambito della vita.

Per quanto riguarda le caratteristiche socio-demografiche del campione, anche quest’anno le persone che hanno partecipato sono principalmente di cittadinanza italiana (98,3%), e sono sopratuttto uomini, giovani, con un livello di istruzione elevato. Il 55,2% del campione si dichiara infatti gay, il 24,3% lesbica e il 20,4% bisessuale. Il 55,4% del campione ha tra i 18 e i 34 anni e il 64,2% ha conseguito almeno la laurea. Si tratta, inoltre, di persone attive politicamente visto che il 48,2% dichiara di partecipare attivamente e con continuità ad associazioni o gruppi Lgbt+. Come nell'indagine precedente, la maggior parte del campione vive nel nord del paese (50,6%) e nelle grandi città. In continuità con la scorsa rilevazione, l’indagine ha coinvolto un campione caratterizzato da una partecipazione alta al mondo del lavoro: la stragrande maggioranza delle persone intervistate è occupata (84,7%) o lo è stata in passato (9,8%); la motivazione principale per l’assenza di occupazione è il fatto di studiare o seguire un percorso di formazione professionale. Coerentemente con il gender gap lavorativo, l’assenza di occupazione è più frequente tra le persone che si dichiarano donne e lo stesso vale per l’incidenza di contratti a termine.

Il focus principale della rilevazione è il benessere lavorativo delle persone Lgb: la maggior parte del campione (84,3%) dichiara di aver rivelato il proprio orientamento sessuale sul posto di lavoro, preferibilmente a persone di pari grado (78,3%). Tuttavia, vengono ancora riportati episodi di outing (31,2%) – ovvero di disvelamento non consensuale dell’orientamento sessuale – da parte di colleghe, colleghi o clienti ed è ancora diffusa la percezione che l’orientamento sessuale sia un elemento di svantaggio in termini di riconoscimento delle capacità professionali (34,1%) o di possibilità di carriera (30,8%). Questa percezione è probabilmente all’origine della scelta di occultare l’orientamento sessuale sul posto di lavoro – riportata dal 61,2% del campione (65,7% tra le donne e 71,4% tra le persone bisessuali) – e di evitare di frequentare persone dell’ambiente lavorativo nel tempo libero (una persona che partecipa su tre, anche in questo caso comportamento più frequente tra le donne e le persone bisessuali).

Inoltre, circa 8 persone su dieci hanno riportato episodi di micro-aggressione sul posto di lavoro, tra cui battute offensive, utilizzo di termini insultanti, domande invadenti sulla vita sessuale, ridicolizzazione e stereotipizzazione di modi di parlare o muoversi.[2] Nella ricerca di un’occupazione, anche quest’anno l’orientamento sessuale viene menzionato dal campione come fattore di discriminazione assieme ad altri, in particolare l’età, la provenienza e il genere. Inoltre, il 25,9% del campione afferma di non essersi presentato a un colloquio di lavoro temendo di ritrovarsi in un ambiente lavorativo ostile e omofobo.

Di assoluto rilievo il fatto che oltre il 70% del campione abbia riportato episodi di discriminazione in ambito scolastico/universitario, convalidando l’assoluta urgenza di percorsi di educazione alle differenze nell’età critica dello sviluppo.

Per quanto riguarda le aggressioni esplicite sul posto di lavoro, un terzo del campione racconta di un clima lavorativo ostile. Gli episodi riportati riguardano l’essere umiliatə o insultatə (44,6%), calunnie e derisione (43,5%), l’esclusione da riunioni e conversazioni (40,7%), minacce verbali o scritte (20,2%) e aggressioni fisiche (7,2%). Come per la scorsa rilevazione, chi subisce questo tipo di aggressioni spesso sceglie di non raccontarle (16,9%) o di non intraprendere nessuna azione a riguardo (67,3%). Le discriminazioni riportate riguardano com’è ovvio anche altri ambiti della vita, basti pensare che il 27,5% del campione ha riportato di aver cambiato quartiere o comune (spostandosi soprattutto verso le grandi città) per poter vivere più tranquillamente e il 74,5% racconta di evitare di mostrare pubblicamente il proprio orientamento sessuale per paura di subire aggressioni o molestie.

Infine, il campione si è anche espresso sul clima percepito in Italia nei confronti delle persone Lgb. Il 91% ha dichiarato che le persone Lgb in Italia sono molto o abbastanza discriminate. Come lo scorso anno le persone trans e non binarie sono quelle percepite come più discriminate in assoluto all’interno della comunità Lgbt+ (97,6%), fatto questo che evidenzia la necessità di rilevazioni e politiche specifiche a sostegno di questo sotto-gruppo della popolazione.

Per affrontare un clima così ostile, il campione è stato invitato a indicare le politiche e le misure ritenute più cruciali: come lo scorso anno, le persone che hanno partecipato all'indagine hanno evidenziato l’importanza di azioni di formazione e sensibilizzazione (84,3%), nonché l’adozione di misure legislative specifiche (60,4%). Rispetto a queste ultime, viene menzionato il riconoscimento legale di entrambi i genitori delle famiglie omogenitoriali (94,7%), percorsi di educazione alle differenze nelle scuole (92,2%), l’adozione di una legge contro l’omo-lesbo-bi-transfobia (92,1%), una disciplina sistemica sulle adozioni (90,8%) e l’introduzione del matrimonio egualitario. Il campione si è espresso in maniera favorevole anche sulla gestazione per altri e la procreazione medicalmente assistita (62,3%).


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Fonte: InGenere.it 

Autore: 
Marta Capesciotti

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Articolo tratto interamente da 
InGenere.it 


6 commenti:

  1. Aumentano ovunque pensa in quell'ambito dove già prima non erano proprio così accettati.... È. una società degradata spiritualmente, moralmente, è una società dall'anima malata, una società che rischia presto di perdere anche l'anima e di rimanere solo un vuoto involucro sottomesso all'egoismo narcisista di chi ha voluto tutto questo.

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  2. Ho du nipotini e ogni tanto gli dico...vi lasciamo un brutto mondo.
    Buona giornata.

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