sabato 19 gennaio 2019

Storia della Resistenza internazionalista contro il nazifascismo in Italia


Articolo da Giap - Il blog di Wu Ming
di Wu Ming 2

Qualche settimana fa, poco prima di Natale, grazie all’account twitter dell’ANPI Brescia, siamo incappati nell’ennesimo tentativo di ridurre la Resistenza italiana a un movimento patriottico, bianco e nazionalista.

Per l’ennesima volta negli ultimi mesi, ci è toccato leggere frasi come queste: «A coloro che accostano i #migranti ai #partigiani e che cantano #bellaciao faccio notare che i VERI partigiani (non i #sinistri che s’atteggiano dell’#anpi) combattevano per difendere la propria patria!!! E combattevano contro “l’invasor” ovvero lo straniero! E non scappavano!!!»

Giustamente l’ANPI Brescia ha risposto: «I partigiani combattevano contro i fascisti, italiani e stranieri, per la liberazione dell’Italia dalla dittatura, e i migranti di allora, cioè le persone costrette a lasciare il loro Paese (ad esempio dalla guerra), li accoglievano nelle loro file. E non scappavano.»
Per aiutare a smontare la mistificazione, abbiamo iniziato ad elencare alcuni esempi di quanto la Resistenza sia stata invece multietnica, creola, internazionalista e migrante. Il thread ha avuto una rapida diffusione e molte persone hanno aggiunto notizie e testimonianze familiari sulla partecipazione di «partigiani stranieri» alle «nostre» brigate.

Per questo, abbiamo pensato che potesse essere utile radunare in un post i principali riferimenti reperibili on-line alle oltre 50 nazionalità rappresentate nella Resistenza italiana, e agli italiani che affiancarono i partigiani di altre nazioni. Così, la prossima volta che qualcuno tirerà fuori la solita “bufala sovranista”, sarà sufficiente citare questo post per stroncarla sul nascere.


Il caso più numeroso, più noto e studiato è quello dei partigiani sovietici: nel primo libro scritto sull’argomento, Mauro Galleni ricavò dai ruolini militari la cifra di 4981 combattenti e 425 caduti, che oggi è ritenuta sottostimata. Quattro di loro sono insigniti di medaglia d’oro al valor militare: Danijl Avdeev, Pore Musolishvili (che in realtà si chiamava Mosulishvili – grazie ad Anna Roberti per la segnalazione, nei commenti qui sotto), Nicolaj Bujanov e Fëdor Poletaev.

Dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica, ulteriori studi hanno indagato più nel dettaglio la partecipazione alla resistenza italiana di ucraini (come lo stesso Bujanov), georgiani (come Musolishvili), azeri (come Mehdi Huseynzade – attivo nella zona di Trieste – e Nuri Aliyev – che sposò la partigiana bolognese Gina Negrini). E ancora armeni (come Babasian Armenak), lettoni (come Vasilij Corimiachi), kazaki (come Vago Ieblegan), bielorussi (come Ignatij Selvanovič), daghestani (come Imir Sakhaio).

Erano sovietici anche i cosiddetti “mongoli” che si unirono alle brigate partigiane – per esempio la “Cacciatori delle Apuane“, in Versilia. In alcuni casi si trattava di prigionieri dei tedeschi internati in Italia e in altri di disertori della 162ª Divisione “Turkistan” della Wehrmacht, formata da soldati azeri e dell’Asia centrale russa. Alcuni di loro, quando tornarono in URSS dopo la guerra, furono puniti per essersi arruolati nell’esercito nazista, a prescindere dal loro successivo “ravvedimento partigiano”, come racconta Catia Giaconi – figlia di una partigiana pisana e di un azero confinato in Siberia – nel suo romanzo Buriazia.


Di un’altra nazione che non è più nazione – la Jugoslavia – è ben noto il contributo alla resistenza italiana, ma il primo studio davvero completo è stato il libro di Andrea MartocchiaI partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana (Odradek, 2011). Il volume è completato da un sito con moltissime informazioni aggiuntive. Martocchia calcola che i caduti jugoslavi in Italia – in battaglia o per via del loro antifascismo – furono 175. Tra le tante formazioni nelle quali combatterono questi partigiani, una menzione particolare  merita l’ISLAFRAN,  brigata composta da Italiani, SLAvi e FRANcesi, che operò nelle Langhe e la cui storia è stata ricostruita grazie al lavoro di Ezio Zubbini.

Anche per la ex-Jugoslavia abbiamo trovato esempi di partigiani provenienti dalle diverse nazionalità che un tempo costituivano la repubblica federale: croati come Vinka Kitarovič, nativa di Sibenik; sloveni come Rado Bordon, bosniaci come Etel Josef, serbi come Mihailo Bjelakevic, montenegrini come Milan Tomović. Ci manca un macedone, ma contiamo di trovarlo presto.

Va ricordato, inoltre, che il primo gruppo partigiano italiano – il «distaccamento Garibaldi», sulle Prealpi Giulie – naque nel marzo 1943 in sostegno ai reparti sloveni della resistenza armata jugoslava, che fu in qualche modo la “matrice”, l’esempio al quale si ispirarono i ribelli italiani.

Sempre restando alle nazioni che non esistono più sulla mappa, anche ai partigiani della Cecoslovacchia che combatterono in Italia sono stati dedicati diversi studi e in particolare un libro. I loro nomi – ma a volte nemmeno quelli – compaiono tra le vittime delle stragi nazifasciste di Cercina (FI), Susa (TO), Anzola d’Ossola (VC). Ad Argenta (FE) c’è una via intitolata a Juraj Bašnár, slovacco, morto in uno scontro con l’esercito tedesco nelle Valli di Comacchio, mentre in provincia di Imperia, partecipò alla resistenza il ceco Vladislav Hana.


Numerosa e documentata è anche la presenza in Italia di partigiani polacchi: Hermann Wygoda, ingegnere ebreo, reclutato a forza nella TODT, diventò il “comandante Enrico” della 4ª Brigata e poi delle divisione “Gin Bevilacqua”, in provincia di Savona; Mieczyslaw Bogarki diresse la squadra Mietek, nel reggiano; Borian Frejdrik venne fucilato a La Storta, subito fuori Roma, dai nazisti in fuga dalla capitale.

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Fonte: Giap - Il blog di Wu Ming


Autore: Wu Ming 2

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Articolo tratto interamente da Giap - Il blog di Wu Ming


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