lunedì 21 gennaio 2019

21 gennaio 1921 – A Livorno viene fondato il Partito Comunista d'Italia

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Il Partito Comunista d'Italia (PCd'I) è stato un partito politico italiano attivo legalmente dal 1921 al 1926 e clandestinamente dal 1926 al 1943, quando riprese l'attività legale come Partito Comunista Italiano.

Avente sede a Milano nella palazzina di Porta Venezia, ebbe come organo di stampa quotidiano centrale Il Comunista fino al 1922 e dal 1924 l'Unità.

Il II Congresso dell'Internazionale Comunista fra luglio e agosto del 1920 decide che i suoi membri avrebbero dovuto sottoscrivere ventuno condizioni che prevedevano, fra l'altro, l'espulsione di ogni riformista e il mutamento di nome dei partiti in Partito Comunista. In particolare il documento stabiliva: «La stampa periodica e non periodica e tutte le pubblicazioni di partito debbono essere completamente subordinate alla direzione del partito, [...] è necessario bollare a fuoco, in modo sistematico e implacabile, non soltanto la borghesia ma anche i suoi complici, i riformisti di qualunque sfumatura. [...] [È] assolutamente necessario combinare l'attività legale con quella clandestina. [...] [I]l partito comunista sarà in grado di compiere il proprio dovere soltanto se sarà organizzato il più possibile centralisticamente, se in esso dominerà una disciplina ferrea». Alla fine del Congresso il 27 agosto il presidente del Comintern Grigorij Evseevič Zinov'ev con Nikolaj Ivanovič Bucharin e Vladimir Lenin inviavano al Partito Socialista Italiano (PSI) e a «tutto il proletariato rivoluzionario» italiano l'invito a discutere al più presto in un Congresso le ventuno condizioni. L'appello è pubblicato in Italia solo il 30 ottobre su L'Ordine Nuovo, quindicinale socialista torinese diretto da Antonio Gramsci.

Il 15 ottobre 1920 a Milano ha luogo una conferenza di tutti coloro che accettano senza riserve le ventuno condizioni dell'Internazionale Comunista. Si incontrano così gli astensionisti vicini ad Amadeo Bordiga, gli ordinovisti di Gramsci e massimalisti terzinternazionalisti come Egidio Gennari, Bruno Fortichiari e Francesco Misiano. La conferenza si conclude con l'approvazione del manifesto Ai Compagni e alle Sezioni del Partito Socialista Italiano. Il manifesto si conclude con la proposta del cosiddetto programma di Milano in dieci punti sottoscritto da Gramsci, Bordiga, Fortichiari, Misiano, Umberto Terracini e il segretario della Federazione Giovanile Socialista Italiana (FGSI) Luigi Polano. Nasce così la frazione comunista del PSI.

Pochi giorni dopo inizia a circolare la cosiddetta circolare Marabini-Graziadei che prova a far da ponte tra la frazione comunista e i massimalisti più anziani e titubanti a cambiare nome al PSI, proponendo il compromesso di Partito Socialista Comunista d'Italia. Si arriva così a Imola, dove la frazione comunista e il gruppo vicino a Marabini e Graziadei tengono un convegno pre-congressuale il 28 e 29 novembre. Nonostante frizioni e distanze che rischiano di far naufragare l'incontro si redige la mozione comunista per il XVII Congresso socialista. La mozione è approvata all'unanimità grazie a una serie di reciproche rinunce: gli astensionisti bordighiani rinunciavano alla pregiudiziale anti-elezionista promettendo al contempo il proprio autoscioglimento e si stabiliva che la mozione di Imola era immodificabile e quindi al riparo da accordi dell'ultim'ora.

Da questo momento in poi iniziano due mesi non di semplice battaglia congressuale, ma di vera e propria costruzione di una corrente nazionale pronta a trasformarsi in partito, se come ci si aspetta il centro vicino al massimalista Giacinto Menotti Serrati non espelle i riformisti di Filippo Turati riuniti nella corrente detta di concentrazione.

Nel comitato della frazione comunista troviamo Gramsci, Bordiga, Fortichiari, Misiano, Polano, Repossi e Terracini.

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