sabato 26 gennaio 2019

Oms: la metà della popolazione mondiale non ha accesso ai servizi sanitari essenziali



Ogni anno al mondo 100 milioni di persone sono costrette a vivere in condizione di povertà a causa delle spese sanitarie private. Servono più investimenti da parte dei governi, fondamentali la lotta alle epidemie e l’innovazione finanziaria. 

Nonostante gli enormi passi avanti compiuti negli ultimi decenni, c’è ancora molto da fare in materia di assistenza sanitaria. Secondo la recente ricerca “Tracking Universal Health Coverage: 2017 Global Monitoring Report”, condotta in sinergia tra l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e la Banca mondiale, metà della popolazione globale non può ancora accedere a servizi sanitari indispensabili, e ogni anno circa 100 milioni di persone vivono in condizione di povertà a causa delle alte spese sanitarie “out-of-pocket” (ovvero quelle private, direttamente a carico dalle famiglie) che sono costrette a sostenere. Un fattore, quest’ultimo, determinante, perché non si può garantire un’assistenza sanitaria “universale” fin quando i costi da sostenere rappresentano un notevole onere finanziario per le famiglie. 

Ogni anno sono circa 800milioni le persone (potrebbero formare la terza nazione del mondo per popolazione) che spendono almeno il 10% del proprio reddito in cure. Una quota non banale, che spesso costringe a scegliere tra salute e altri beni e servizi necessari come il cibo e la retta da pagare per mandare i propri figli all’università. 

Di questi, nel 2010 circa 281 milioni vivevano nell’Est asiatico (quota che rappresenta il 12,9% della popolazione locale), 220,6 milioni nel Sud asiatico (13,5% della popolazione locale), 89 milioni nell’Africa sub-sahariana (10,3% della popolazione locale), 88,3 milioni in America latina (14,8% popolazione locale), 61,8 milioni in Europa e Asia centrale (7% popolazione locale) e 52,2 milioni in Medio-oriente e Africa del Nord (13,4 % popolazione locale).

La ricerca si focalizza anche sugli effetti indiretti generati dalla precarietà del comparto sanitario. Uno su tutti: la perdita di capitale umano. La salute costituisce infatti la base della attività svolte quotidianamente dalle persone. Senza una buona condizione di salute, ad esempio, calano le prestazioni sul posto di lavoro delle persone e i bambini sono costretti a rinunciare alla formazione scolastica, un danno sia sotto il profilo culturale che economico. “L’unico modo per garantire universalmente l’assistenza sanitaria è chiedere ai governi uno sforzo maggiore negli investimenti da indirizzare al settore”, sostiene Jim Yong Kim, presidente della Banca mondiale. Importanti sono quelli da destinare alle cure dei bambini: i primi anni di vita determinano le buone condizioni future.




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