domenica 7 ottobre 2018

Ricordi di emigrazione



Articolo da Zeroviolenza

Giovanni Di Paolo, Zeroviolenza
6 ottobre 2018

Ricordo l'emigrazione come un sogno. Spesso la sera mi vedevo entrare, parenti, amici di famiglia, vicini di casa, che ci venivano a salutare. Le frasi che mi sono rimaste impresse e ricordo ancora adesso con tanta tristezza: "Mari'... Umbe'" si chiamavano cosi i miei genitori "Maria e Umberto. Perdonatemi se vi ho fatto qualche torto…domani parto per l’Australia o America o Canadà", dipendeva dalla destinazione.

Ricordo che rispondevano, «e che male? Parti tranquillo e non pensare a queste cose, ti auguro tanta fortuna e non dimenticare il vicinato, che noi ti pensiamo sempre e ti vogliamo bene, facci avere notizie buone». Si abbracciavano forte per alcuni minuti, le lacrime che scendevano senza tregua, si guardavano ed era quello il saluto, portandosi con loro lacrime di tristezza, nel lasciare il proprio paese, i loro amici, parenti e la maggior parte di loro, mogli e figli piccoli.

Il giorno dopo si discuteva……. «chissà quando arriva», si cercava di incoraggiare le famiglie rimaste, dicendo loro: «Si é andato a guadagnare il pane! stai calma, poi ti porterà pure a te con lui» mentre c’erano i campi di grano, l’ulivo da raccogliere, la vendemmia, i campi  da lavorare.

Il vicinato era sempre pronto nel dare l’aiuto fisico. Quando arrivava la prima lettera dicendo che era arrivato bene era un sollievo per tutti quanti, ma c’era già qualcun’altro che partiva e tutto si ripeteva. Poi arrivava il primo vaglia e quello era la testimonianza che stava bene. Io ricordo personalmente quando arrivava la lettera da mia sorella dalla Svizzera.

I miei genitori erano analfabeti, allora dovevano aspettare me per leggere la lettera. Impazienti, la sera d’inverno, avevamo un tavolinetto che veniva posto vicino al camino, si cercava di cenare in fretta, impazienti, non é che c’era primo e secondo piatto, un piatto di pasta e fagioli e c’era anche qualcuno peggio di noi, magari solo pasta con poco olio, perchè non lo possedevano.

Si apriva la lettera dicendo: «Cari genitori come state? Noi stiamo tutti bene, si lavora, i nipoti vanno a scuola, io lavoro, mio marito pure. Domenica scorsa siamo andati a fare una passeggiata sul lago, era una bella giornata di sole, poi abbiamo mangiato un gelato o qualcos’altro», poi:  «Vi abbracciamo forte forte, il nostro pensiero é rivolto sempre a voi. Vi vogliamo bene, tanti saluti da noi tutti, ciao».  Poi si aspettava qualche mese per la prossima lettera e pronta risposta. 

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Articolo tratto interamente da Zeroviolenza 



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