Articolo da Filosofemme
Al giorno d’oggi non si fa che parlare dell’amore tossico: un meccanismo che non è un’esclusiva femminile ma che, in una società di stampo patriarcale, riguarda spesso donne che sono state educate a credere che certi comportamenti maschili (come la gelosia morbosa, gli scatti d’ira e il desiderio di possesso) siano propri di un “vero uomo” e, in quanti tali, scusabili, quando non addirittura affascinanti o sintomo di un affetto profondo.
In un contesto socio-culturale che vede ancora la donna come naturalmente portata all’accudimento e alla comprensione, diventa più facile cedere al ricatto emotivo e spesso e volentieri manipolatorio che avviene da parte də partner in una situazione abusante e non allontanarsi in tempo da una relazione che sta diventando sempre più liberticida e soffocante.
Gli atteggiamenti che vengono giustificati nel nome di presunte manifestazioni di affetto, infatti, sono gli stessi che compaiono nei “raptus” da cui derivano i femminicidi.
Per definizione, “raptus” è «in psichiatria, impulso improvviso e incontrollato che […] spinge a comportamenti parossistici, per lo più violenti» (1).
Quindi no, il termine tanto amato dai giornali non è fedele alla realtà dei fatti: è un fenomeno educativo sociale, peraltro ricalcato spesso dalla cultura pop, dai cartoni animati alle serie televisive, che va a impregnare la forma mentis collettiva.
Sono infatti veramente numerosi i casi di femminicidio in Italia nel 2024, tanto da raggiungere la significativa quota cento in meno di un anno (2). Da un lato è giusto sottolineare che il fenomeno non riguarda esclusivamente vittime femminili e che, anche nei casi nei quali la vittima è un uomo, possiamo osservare lo stesso pattern fatto di controllo, possesso e limitazione della libertà.
Dall’altro lato le statistiche rivelano che, se è vero che ci sono più uomini deceduti rispetto alle donne, la maggior parte di loro è uccisa da altri uomini (3). Inutile, dunque, appellarsi al numero assoluto delle vittime maschili di omicidio per “argomentare” opposizioni a una tipologia di uccisioni che avvengono in base al genere e a come esso viene concepito.
Nicla Vassallo, filosofa da sempre in battaglia contro il gender gap e la discriminazione di genere, durante un’intervista presso l’Ansa proclama:
«Per citare Dante “Fatte non foste a viver come brute”, noi donne non siamo da brutalizzare, in termini di violenza fisica, intellettuale, culturale, a noi ci debbono essere riconosciute pari dignità sempre e per questo bisogna non smettere di lottare cercando sopra a tutto il dialogo. Una piaga come il femminicidio, la violenza di genere deve fare indignare tutti, uomini e donne di continuo, c’è rischio assuefazione, che dalla pagina di cronaca nera scivoli via subito dopo nel dimenticatoio» (4).
La maggior parte delle donne viene considerata da sempre oggetto dagli uomini, spiega Vassallo, questa volta attraverso il Podcast Io sono Alice.
Vengono assorbite all’interno di domini e schemi ben precisi, volti all’eliminazione, al sopruso.
La soluzione suggerita dalla filosofa sarebbe dunque una lotta contro il patriarcato, a partire dal quotidiano, dalla terminologia che usiamo tutti i giorni e soprattutto dalla valorizzazione dell’entità donna in quanto singola, e non come mera appendice dipendente dell’uomo.
Superare il patriarcato non è un compito prettamente femminile: la collettività tutta deve volgere allo sviluppo di un pensiero inclusivo, svincolato dai concetti di sottomissione, possesso, superiorità, interfacciandosi ai sessi diversi dal proprio, i quali non sono riconducibili al semplice binomio uomo-donna.
Non è solo la donna a rimetterci: siamo tuttə a inciampare ogni giorno negli stereotipi che vanno a incasellare le “giuste” caratteristiche delle persone, uomini compresi.
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Fonte: Filosofemme
Autore: Ilaria Luciano
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Articolo tratto interamente da Filosofemme
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