martedì 21 gennaio 2025

La crisi economica tedesca


Articolo da Codice Rosso

I recenti dati economici relativi, sia singoli paesi che all’intera area comunitaria, dovrebbero indurre ad una seria e approfondita riflessione sull’effettivo stato di salute dell’Ue, visto che, quest’ultima, già ad ottobre era ormai giunta al 18esimo mese consecutivo di riduzione tendenziale della produzione e del fatturato industriale(1).

Italia: bassa crescita e industria a picco

Nello specifico, per quanto concerne l’Italia, dove la crisi industriale morde più della media Ue, non riteniamo sufficienti, ai fini della ripresa degli investimenti, alcuni palliativi come l’adozione dell’Ires o gli ennesimi sconti fiscali sui nuovi assunti, quando sta venendo meno in modo strutturale proprio la propensione al rischio d’impresa che poi finisce per tradursi in minori investimenti tecnologici e produttivi. Riteniamo, invece, assolutamente necessario tornare a pianificare un’efficace politica industriale di medio periodo sotto la direzione statale, evitando di farsi trascinare alla deriva dalle nefaste correnti del mercato, come avvenuto negli ultimi anni, con il fondamentale comparto siderurgico ridotto ai minimi termini.

Se non vogliamo arrenderci a un futuro di precarietà, inutile anche ai fini del rilancio industriale con la riduzione delle ore lavorate e con la bassa produttività del lavoro, le scelte da operare in Italia dovrebbero essere ben diverse dall’immobilismo del Governo Meloni, sempre che l’obiettivo non sia quello di pensare a un futuro per il nostro paese relegato al ruolo di appendice degli Usa.

A conforto della nostra analisi, spicca la fondata preoccupazione di Confindustria che prevede, sulla base di una propria ricerca, un 2025 in grande sofferenza per l’industria nazionale, specie quella meccanica, oltre che per la sostenibilità del già mal ridotto welfare nazionale. In particolare risulta il comparto dell’automotive, con tutto il vasto indotto al seguito, a trainare la debacle dell’intero settore industriale nazionale, visto che a novembre, in base agli ultimi dati diramati dall’Istat, la sua flessione tendenziale si è inabissata addirittura a -28,5%, portando la contrazione nei primi 11 mesi dell’anno ad un pesante -21,7%(2).

E considerando la dinamica industriale nel suo complesso, la crisi sembra aver assunto carattere strutturale appurato che per ritrovare un segno positivo, sempre su base tendenziale, bisogna risalire addirittura al gennaio 2023.

Conseguentemente, preoccupazioni sempre più fondate sussistono sulla persistente debole crescita economica dell’Italia(3), da parte di istituti di ricerca nostrani e istituzioni internazionali, che prevedono  si manterrà al pari del biennio precedente, assai limitata anche per l’anno appena iniziato. Ritornando in sostanza, dopo la crisi pandemica e il rimbalzo nei due anni successivi, nella condizione di bassa crescita/stagnazione che ha caratterizzato tutta seconda metà degli anni ’10, successiva peraltro alla recessione causata dalla crisi dei debiti sovrani nei paesi periferici dell’Eurozona di inizio decennio.

Perfino analisti dei principali giornali italiani (4) iniziano a dubitare dell’efficacia delle politiche fino ad oggi intraprese, preoccupati dal declino industriale del nostro paese che, nonostante l’evidenza dei dati, non viene mai nominato pubblicamente dal governo Meloni. Impegnato, invece, a pubblicizzare i dati sull’occupazione, senza tuttavia menzionare il rovescio della medaglia della diminuzione della quota dei salari nel contesto del reddito nazionale. Salari peraltro, rispetto a prima del covid, erosi del 7,9% nel potere d’acquisto dalla recente fiammata inflattiva, non ancora del tutto domata, e di livello ben al di sotto dei principali partner europei e praticamente fermi negli ultimi 30 anni, a seguito di sconsiderate politiche salariali regressive e della precarizzazione delle forme contrattuali.

La locomotiva tedesca ormai ferma sul binario morto

Se l’Italia dovrebbe piangere, ancor più grave è la situazione in Germania con l’economia da due anni in recessione (-0,3% nel 2023 e -0,2% nel 2024) e con una pesante crisi industriale che irrompe direttamente nella campagna elettorale per le elezioni politiche di febbraio.

La crisi tedesca ha immediate ripercussioni, come visto negli ultimi mesi, anche sulle esportazioni italiane, in grande crisi soprattutto nel settore auto (5)e nella componentistica fornita tramite le filiere produttive intra Ue all’apparato industriale teutonico, principalmente dalle aziende di Veneto, Emilia-Romagna e  Lombardia, non causalmente quelle più in sofferenza nell’export verso Berlino(6).

Come indicato anche dagli ambienti imprenditoriali tedeschi, il rincaro del costo del gas, causato delle sanzioni con rinuncia alle forniture russe anche a causa del sabotaggio dei gasdotti del Baltico, è risultato dirimente in questa caduta.

L’intrusione di Musk e il suo sostegno all’estrema destra tedesca confermano la volontà di Trump di utilizzare strumentalmente le difficoltà crescenti della Ue per ridimensionare l’Unione Economica e Monetaria (Uem) del vecchio continente e la sua stessa economia, attraverso il prolungamento della guerra in Ucraina, gettando discredito sul vecchio continente e cercando di delegittimarne ulteriormente la classe politica che la guida, di per sé già incapace di tutelare gli interessi dei suoi cittadini e delle sue imprese.

La crisi della manifattura tedesca, e in particolare dell’industria meccanica, è confermata non solo dai forti ridimensionamenti produttivi di VW e dalla flessione di tutti i principali marchi automobilistici, ma anche dalle vendite contenute delle auto elettrice soppiantante da quelle diesel. Infatti, “Solo 380.600 veicoli elettrici sono stati immatricolati di recente. Ciò corrisponde a un calo del 27,5% rispetto all’anno precedente”(7)

Siamo davanti a un insolito connubio tra sostenitori delle energie non rinnovabili, apparato industrial militare e settori attivi nella ricerca e produzione delle tecnologie duali, insieme alle multinazionali che controllano l’informazione, è questo l’insieme degli interessi che sostiene Trump.

I ritardi della Ue in campo tecnologico producono, da un lato la supremazia dei satelliti di Musk, ma anche il dominio di Usa e, soprattutto, della Cina nella produzione delle auto elettriche, relegandoci in una posizione sempre più marginale in questo strategico comparto.

A fine 2024 le auto elettriche in circolazione in Germania erano solo 1,4 milioni, a fronte di un obiettivo, entro il 2030, di 15 milioni di auto elettriche, traguardo ormai, allo stato attuale, impossibile di fatto da raggiungere.

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Fonte: Codice Rosso

Autore: 
Andrea Vento e Federico Giusti

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Articolo tratto interamente da Codice Rosso


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