Articolo da Valori
Il 24 ottobre l’Islanda si è fermata. Decine di migliaia di donne e persone non binarie hanno aderito alla giornata di sciopero contro la disparità di retribuzione salariale e contro la violenza sessuale e di genere. Negozi, banche e scuole sono rimasti chiusi. Gli ospedali hanno gestito solo i casi di emergenza. Tra le varie manifestazioni, la più grande è stata a Reykjavík, la capitale. I media locali hanno parlato di 70-100 mila persone presenti. Un numero elevato se si pensa che l’Islanda conta in tutto 370mila abitanti.
Unite sotto allo slogan «You call this equaliy?» («Questa la chiamate uguaglianza?»), le scioperanti hanno chiesto di rendere pubblici gli stipendi nei settori dove le lavoratrici costituiscono la maggioranza. E di adottare provvedimenti più severi nei confronti delle violenze sessuali e di genere. «Non lavorerò oggi e mi aspetto che non lo facciano anche tutte le altre donne che fanno parte del governo» ha dichiarato la premier Katrín Jakobsdóttir, presente alla manifestazione di Reykjavík.
Il 24 ottobre l’Islanda si è fermata. Decine di migliaia di donne e persone non binarie hanno aderito alla giornata di sciopero contro la disparità di retribuzione salariale e contro la violenza sessuale e di genere. Negozi, banche e scuole sono rimasti chiusi. Gli ospedali hanno gestito solo i casi di emergenza. Tra le varie manifestazioni, la più grande è stata a Reykjavík, la capitale. I media locali hanno parlato di 70-100 mila persone presenti. Un numero elevato se si pensa che l’Islanda conta in tutto 370mila abitanti.
Unite sotto allo slogan «You call this equaliy?» («Questa la chiamate uguaglianza?»), le scioperanti hanno chiesto di rendere pubblici gli stipendi nei settori dove le lavoratrici costituiscono la maggioranza. E di adottare provvedimenti più severi nei confronti delle violenze sessuali e di genere. «Non lavorerò oggi e mi aspetto che non lo facciano anche tutte le altre donne che fanno parte del governo» ha dichiarato la premier Katrín Jakobsdóttir, presente alla manifestazione di Reykjavík.
Da cosa nasce lo sciopero delle donne in Islanda
Secondo il report annuale del World Economic Forum (WEF) nel 2023 l’Islanda si è classificata, per il 14esimo anno di fila, come paese più vicino al raggiungimento dell’uguaglianza di genere. «In un paradiso di uguaglianza non ci dovrebbero essere il 21% di divario salariale tra uomini e donne e il 40% di donne che sperimentano violenza di genere o sessuale almeno una volta nella vita» afferma tuttavia una delle organizzatrici dello sciopero, Freyja Steingrímsdóttir. Dati confermati proprio dal report del WEF. Questo nonostante una legge del 2017 imponga alle aziende di certificare l’uguaglianza di stipendi tra uomini e donne a parità di condizioni lavorative.
Le organizzatrici dello sciopero ritengono che le questioni di genere siano interdipendenti. «La violenza contro le donne e il lavoro sottopagato sono due facce della stessa medaglia e hanno effetto una sull’altra» ha dichiarato al Guardian una di loro, Drifa Snaedal. Del resto, è nota la stretta relazione che intercorre tra violenza di genere ed emancipazione economica. Per un cambiamento reale è necessario dunque affrontare le due questioni insieme.
Continua la lettura su Valori
Fonte: Valori
Autore: Anna Radice Fossati
Licenza:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.
Articolo tratto interamente da Valori
Come vorrei essere una di LORO!
RispondiEliminaUna grande manifestazione.
Eliminabrave hanno il mio appoggio, in Italia dovrebbero prendere esempio ma come sempre noi parliamo molto e in piazza non scendiamo mai! Ciao
RispondiEliminaIn piazza non scende più nessuno, sono veramente poche le manifestazioni.
Elimina