mercoledì 13 gennaio 2021

La tragedia umanitaria del campo profughi di Lipa



Articolo da Internazionale

I letti a castello arrugginiti sono ricoperti da diversi centimetri di neve: uno stormo di uccelli vola sopra alle poche cose che sono state risparmiate dall’incendio che il 23 dicembre ha distrutto il campo profughi di Lipa, in Bosnia, fino a quel momento unico riparo per un migliaio di persone respinte dalla Croazia, dalla Slovenia e dall’Italia nel corso degli ultimi mesi. Lo scheletro dei tendoni è rimasto in piedi e si staglia in una distesa di ghiaccio e nebbia lattiginosa, mentre una tempesta di neve si abbatte sui resti del campo.

I profughi, originari in gran parte del Pakistan e dell’Afghanistan, si mettono in fila per ricevere un pasto, l’unico della giornata, distribuito dalla Croce rossa locale e da alcuni volontari venuti dalla Turchia. Si riparano con quello che hanno: coperte e sciarpe. Alcuni di loro hanno ai piedi solo delle ciabatte di gomma. “Le temperature stanno scendendo sotto lo zero, la prossima settimana caleranno ancora di più ma sembra che nessuno si curi di noi”, afferma Ashfaq Ahmed, un ragazzo originario del Kashmir di 26 anni, che non è riuscito a prendere il sacchetto di cibo distribuito dagli operatori umanitari con dentro mele, yogurt e tonno.

Non era inaspettato l’arrivo dell’inverno e della neve nei Balcani, ma nonostante questo per il terzo anno consecutivo in Bosnia migliaia di migranti sono senza un alloggio, perché non ci sono abbastanza posti nei campi ufficiali. L’incendio ha distrutto il campo di Lipa nello stesso giorno in cui ne era stata annunciata la chiusura dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), l’organizzazione internazionale che lo gestiva, perché il campo era ritenuto inadeguato a ospitare delle persone. Senza acqua, senza fognature e senza elettricità.

Ma nonostante questo i migranti non sono stati trasferiti in altre strutture: chi voleva allontanarsi dopo il rogo è stato fermato dalla polizia e rimandato indietro, perché le autorità locali hanno deciso che i profughi debbano rimanere fuori dalla città di Bihać. Nel 2020 in Bosnia-Erzegovina sono transitate 16mila persone: più di diecimila sono rimaste bloccate nel paese sia per l’ulteriore chiusura delle frontiere dovuta alla crisi sanitaria sia per i respingimenti operati dai paesi confinanti, di queste solo 6.300 sono registrate nei campi ufficiali.  

Dopo il rogo di Lipa, la situazione è ulteriormente peggiorata. Secondo l’Oim, l’8 gennaio circa settecento persone sono state sistemate in alcune tende riscaldate allestite in pochi giorni dall’esercito vicino al vecchio campo, mentre più di 350 persone sono state costrette a rimanere in ripari di fortuna dentro Lipa oppure in baracche di legno sparse nel bosco. Si aggiungono ad altre 2.500 persone che nel cantone di Una Sana vivono al di fuori del sistema di accoglienza, in palazzi abbandonati e in baraccopoli nella foresta. Dopo l’incendio, i profughi di Lipa hanno recuperato quello che hanno potuto: con dei teloni di plastica hanno coperto una parte dei letti a castello, hanno trasformato in dormitori perfino i container che erano destinati ai bagni e alle docce.

“Non siamo terroristi, non siamo animali, eppure siamo trattati come se lo fossimo. Senza acqua, senza elettricità, senza riscaldamento, senza poterci muovere se non a piedi”: Mohammed Yasser, pachistano originario di Gujrat, è avvolto in una coperta di lana giallognola, la indossa come fosse un mantello per ripararsi dalle temperature che sono scese sotto allo zero e dall’aria gelida che brucia la pelle del viso rimasta scoperta.

 Yasser è in Bosnia da un anno e due mesi: ha provato molte volte ad attraversare i sentieri nel bosco che arrivano in Croazia, ma è sempre stato fermato dalla polizia, malmenato, derubato e riportato indietro. Non riesce a immaginarsi cosa succederà nei prossimi giorni, con la tempesta di neve quasi nessuno si avventura sui sentieri di confine: “Abbiamo fatto uno sciopero della fame all’inizio di gennaio per quattro giorni, ma non è servito a niente, qui ci sono delle persone malate, non c’è nemmeno un medico, non ci permettono di spostarci verso la città”, continua Yasser mentre mi conduce all’unica fonte di acqua del campo: una condotta che spunta dal terreno, dalla quale sgorga acqua che non potrebbe essere bevuta.

Un cartello chiarisce che non è potabile. “Noi la beviamo lo stesso, non abbiamo alternative”, continua l’uomo. Un altro ragazzo è venuto a riempire due bottiglie di plastica: metteranno l’acqua a bollire sul fuoco e poi ci faranno il tè. Sotto ai teli di plastica Yasser e gli altri hanno acceso un fuoco con la legna ricevuta da alcuni volontari, scaldano un pentolone d’acqua, un fumo nero e acre si alza dalla fiamma e rende l’aria irrespirabile. “La mia famiglia in Pakistan ha investito molti soldi per farmi arrivare in Europa, sono l’unico di loro ad aver fatto questo viaggio, non posso tornare indietro. Ma non mi sarei mai aspettato di trovarmi in questa situazione”, dice mentre si riscalda mani e piedi vicino al braciere. “I profughi hanno bisogno di tutto: coperte, sacchi a pelo, cibo. Con le temperature che stanno scendendo, la situazione è davvero difficile”, afferma Melek Sevda Mustafić, una volontaria dell’organizzazione bosniaca Mfs-Emmaus.  

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Fonte: Internazionale


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Articolo tratto interamente da Internazionale  


12 commenti:

  1. Una vergogna, ecco a cosa hanno portato le guerre infinite di Bush Jr e dei suoi seguaci.

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  2. E' terribile, troppo spesso, concentrata nella mia vita e nel mio piccolo mondo dimentico che esistono queste situazioni. Grazie per il tuo costante aggiornamento

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    1. Tra l'altro ho visto alcuni video, che fanno tanto riflettere sulla poca solidarietà.

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  3. Drammatica situazione, non bisogna scordare chi non ha un "tetto" sopra la testa.
    Buona giornata

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  4. Caro Vincenzo, ecco un articolo che ci fa riflettere!!!
    Ciao e buona giornata con un forte forte abbraccio.
    Tomaso

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  5. Fa male leggere queste notizie. Sono situazioni drammatiche , impossibili da vivere e nessuno interviene. Saluti

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  6. Ciao! Ho saputo solo di recente di questa terribile storia... non ci sono parole!

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