lunedì 30 marzo 2020

Come ci rapportiamo al virus?



Articolo da Tlaxcala

L'eurocentrismo si manifesta adesso a proposito della pandemia di coronavirus. Questa volta non si tratta dei morti in una carestia che non ci riguarda o di una guerra che abbiamo provocato senza mettere a repentaglio la vita dei nostri civili, ma solo per incrementare le nostre esportazioni di armi. Ma si tratta di un intermezzo virologico che noi interpretiamo come una pandemia, assumendo un punto di vista eurocentrico e che vogliamo arginare a tutti i costi visto che è da quando ha colpito con forza anche l´Europa. 


Quando scoppiò l’ebola in Nigeria e raggiunse un tasso di mortalità del 40 %, il problema rimase un problema africano, un evento nel remoto continente nero e rapidamente arginato dal governo del gigante del petrolio. La Nigeria il 20 ottobre 2014 è stata solennemente dichiarata “libera dall’ebola” e tutto è stato poi dimenticato rapidamente. Soprattutto si sono dimenticati subito il collegamento tra la povertà e l’ebola, gli slum e la diffusione della letale malattia.

L’ondata di colera, causata dall’intervento militare contro un paese in via di sviluppo già povero di per sé come lo Yemen e considerata la pandemia più lunga del secolo, dai media è stata trattata come una questione regionale o è stata ignorata del tutto. Sommando le due ondate di colera nel paese arabo in guerra, tra il 2016 e il 2019 si hanno 1.704.246 casi sospettati e 3.438 casi letali confermati. Anche se la morbosità era abbastanza bassa e ammontava solo allo 0,2 percento, il 28% dei casi sospettati erano bambini sotto i 5 anni.

La stessa cosa si può dire della malaria e di altre malattie come ad esempio il noma (stomatite gangrenosa) che riguardano solamente l’Africa e dunque non suscitano l’interesse degli europei. Nel 2018, 272.000 bambini morirono di malaria. Ogni anno tra le 80.000 e le 90.000 persone muoiono di noma.

Ora si scatena il coronavirus che inizialmente colpisce la fabbrica mondiale cinese, a partire dalla regione di Wuhan. Su internet si diffondono pregiudizi ed esternazioni razziste sui cinesi. Sarebbe colpa loro. Il virus lo avrebbero prodotto loro, viste le abitudini alimentari che includono degli animali dubbiosi. Persino la rivista tedesca “Der Spiegel” pubblica il titolo “Virus Made in China”, come se esistesse un rapporto tra nazione, cultura e virus. Si accusa una “nazione” di aver creato o favorito la diffusione di un virus. La sinofobia dilaga ovunque nei social media e persino nei media classici.

Noi europei siamo il centro del pensiero e dell’azione. Il virus non è il nostro virus. È un virus cinese. I pipistrelli non sono pipistrelli europei, ma pipistrelli cinesi, come se la virologia e la zoologia includessero delle distinzioni di tipo nazionale.


Ora che il virus ha raggiunto l’Europa e gli Stati Uniti come “epicentro” della sua diffusione, il virus ad un tratto è visto come una patologia minacciosa senza alcun colpevole. Gli stati europei si assumono il compito nazionale di Sisifo riguardante lo stato di emergenza, programmando la trasformazione delle loro comunità nazionali in gigantesche prigioni. Le persone devono diventare dei greggi che chiusi tra le mura domestiche devono adempiere questo compito nazionale che consiste nello starsene a casa per salvare il proprio popolo.
 
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Per concessione di Tlaxcala
Fonte: http://tlaxcala-int.org/article.asp?reference=28475
Data dell'articolo originale: 28/03/2020
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=28482


Fonte: Tlaxcala 

Autore: 
Milena Rampoldi


Licenza: Copyleft 


Articolo tratto interamente da Tlaxcala 


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