domenica 12 agosto 2018

12 agosto 1944 - Eccidio di Sant'Anna di Stazzema


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L'eccidio di Sant'Anna fu un crimine commesso dai soldati nazisti della 16. SS-Panzergrenadier-Division "Reichsführer SS", comandata dal generale (Gruppenführer) Max Simon, e da membri della 36ª brigata "Mussolini" travestiti con divise tedesche, iniziato all'alba del 12 agosto 1944 a Mulina e concluso nel tardo pomeriggio a Capezzano Pianore. Fin dal mese di aprile erano avvenuti scontri tra "I Cacciatori delle Apuane" con i tedeschi e le Brigate fasciste della "Decima Mas", proseguiti poi sempre più frequentemente fino all'11 agosto.

Dalla fine del 1943 fino all'estate dell'anno successivo la popolazione di Sant'Anna di Stazzema e delle borgate limitrofe crebbe notevolmente per l'arrivo degli sfollati sospinti in queste terre dall'avanzamento del fronte bellico e dai continui bombardamenti degli anglo-americani che colpivano la costa e le città. I tedeschi, tra l'altro, impegnati alla costruzione della linea difensiva che dal mar Tirreno, lungo l'Appennino, doveva arrivare all'Adriatico, rastrellavano gli uomini per impiegarli nelle opere di fortificazione. Anche il territorio di Sant'Anna di Stazzema fu interessato dalla costruenda linea "Pietrasanta-Riegel" che doveva collegarsi con la linea Verde-Gotica quest'ultima, nell'inverno 1944-1945, avrebbe fermato l'avanzata degli eserciti alleati. Una direttiva emanata da Hitler il 2 giugno 1944 imponeva che per una profondità di 10 chilometri, al di qua e al di là della linea gotica, il territorio doveva essere sgombro da ogni insediamento civile; per cui a più riprese l'esercito tedesco ordinava il trasferimento dei civili verso Sala Baganza, in provincia di Parma.

Il quadro della situazione bellico-militare nell'estate del '44 era piuttosto confuso e complesso. La Wehrmacht aveva fermato lungo la linea dell'Arno la precipitosa avanzata alleata dopo la liberazione di Roma; le brigate partigiane operavano sabotaggi e attentati a danno dei tedeschi, i quali reagivano con pesantissime rappresaglie a danno della popolazione civile. Civitella in Val di Chiana, Guardistallo, Padule di Fucecchio, San Terenzo Monti, Fivizzano, Bardine sono solo alcune delle tante località che furono teatro di eccidi e di rastrellamento di civili, voluti da Kesselring per terrorizzare e troncare connivenze tra la popolazione e le bande partigiane. La formazione "Mulargia", che operava sui monti delle Apuane, a metà giugno si sciolse per dissidi interni, dando vita alla "Gino Lombardi" organizzata in tre compagnie, che successivamente formarono la "X bis brigata Garibaldi" composta da circa 120 uomini ciascuna. Queste si posizionarono una sul monte Gabberi, verso la foce di San Rocchino, un'altra vicino a Farnocchia e la terza tra Sant'Anna e la foce di Farnocchia.

Il 26 luglio il comando germanico affisse sulla piazza della chiesa di Sant'Anna un manifesto a stampa ordinando a tutti gli abitanti di lasciare le loro abitazioni e di trasferirsi altrove, verso Valdicastello, in ottemperanza agli ordini di Hitler. Il mancato adempimento a detti ordini (dovuto, secondo alcuni, a un volantino diffuso dai partigiani nei giorni precedenti la strage, con cui la popolazione sarebbe stata invitata a non obbedire all'ordine di evacuazione) ha destato nel dopoguerra varie polemiche. Lo storico Carlo Gentile osserva al riguardo che già da tempo l'esercito tedesco aveva cominciato ad eseguire lo sgombero dei civili dalla costa della Versilia e delle Alpi Apuane, e tale ordine di sgombero era stato esteso alle zone interne nel luglio 1944. Tuttavia, continua Gentile, l'esecuzione dell'ordine risultò da subito «quasi impossibile», sia perché la popolazione opponeva resistenza passiva, sia perché la Wehrmacht non disponeva di truppe e mezzi sufficienti per far rispettare l'ordine. È vero che i tedeschi ordinarono alla popolazione montana di evacuare l'area, ma è anche vero che da parte tedesca «non ci fu un seguito di azioni coordinate di sgombero» e le relative direttive «caddero nel vuoto».

Per questo motivo, secondo la ricostruzione di Gentile, il volantino diffuso dai partigiani non può essere considerato come uno dei motivi della strage. «In realtà nella voluminosa documentazione tedesca non c'è nessuna traccia di operazioni di sgombero coordinate nei giorni della strage. Il nodo centrale non è tanto il fatto se i partigiani avessero o meno espressamente invitato la popolazione a disattendere l'ordine di evacuazione impartito dalle autorità occupanti, quanto il disinteresse dei comandi nazisti a mettere al sicuro i civili in una regione in cui la crescente presenza militare veniva a essere per loro un rischio sempre più grave».


All'inizio dell'agosto 1944 Sant'Anna di Stazzema era stata qualificata dal comando tedesco come "zona bianca", ossia una località adatta ad accogliere sfollati: per questo la popolazione, in quell'estate, aveva superato le mille unità. Inoltre, sempre in quei giorni, i partigiani avevano abbandonato la zona senza aver svolto operazioni militari di particolare entità contro i tedeschi. Nonostante ciò, all'alba del 12 agosto 1944, tre reparti di SS salirono a Sant'Anna, mentre un quarto chiudeva ogni via di fuga a valle sopra il paese di Valdicastello. Alle sette il paese era circondato. Quando le SS giunsero a Sant'Anna, accompagnati da fascisti collaborazionisti che fecero da guide, gli uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere deportati, mentre donne, vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro in quanto civili inermi, restarono nelle loro case.

In poco più di mezza giornata vennero uccisi centinaia di civili, di cui solo 350 poterono essere in seguito identificate; tra le vittime 65 erano bambini minori di 10 anni di età. Dai documenti tedeschi peraltro non è facile ricostruire con precisione gli eventi: in data 12 agosto 1944, il comando della 14ª Armata tedesca comunicò l'effettuazione con pieno successo di una "operazione contro le bande" da parte di reparti della 16. SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS nella "zona 183", dove si trova il territorio del comune di S. Anna di Stazzema; l'ufficio informazioni del comando tedesco affermò che nell'operazione 270 "banditi" erano stati uccisi, 68 presi prigionieri e 208 "uomini sospetti" assegnati al lavoro coatto. Una successiva comunicazione dello stesso ufficio in data 13 agosto precisò che "altri 353 civili sospettati di connivenza con le bande" erano stati catturati, di cui 209 trasferiti nel campo di raccolta di Lucca.




I nazifascisti rastrellarono i civili, li chiusero nelle stalle o nelle cucine delle case, li uccisero con colpi di mitra, bombe a mano, colpi di rivoltella e altre modalità di stampo terroristico. La vittima più giovane, Anna Pardini, aveva solo 20 giorni (23 luglio-12 agosto 1944). Gravemente ferita, la rinvenne agonizzante la sorella maggiore Cesira (Medaglia d’Oro al Merito Civile) miracolosamente superstite, tra le braccia della madre ormai morta. Morì pochi giorni dopo nell'ospedale di Valdicastello. Infine, incendi appiccati a più riprese causarono ulteriori danni a cose e persone.

Non si trattò di rappresaglia (ovvero di un crimine compiuto in risposta a una determinata azione del nemico): come è emerso dalle indagini della procura militare di La Spezia, infatti, si trattò di un atto terroristico premeditato e curato in ogni dettaglio per annientare la volontà della popolazione, soggiogandola grazie al terrore. L'obiettivo era quello di distruggere il paese e sterminare la popolazione per rompere ogni collegamento fra i civili e le formazioni partigiane presenti nella zona.

La ricostruzione degli avvenimenti, l'attribuzione delle responsabilità e le motivazioni che hanno originato l'Eccidio sono state possibili grazie al processo svoltosi al Tribunale militare di La Spezia, conclusosi nel 2005 con la condanna all'ergastolo per dieci SS colpevoli del massacro; sentenza confermata in Appello nel 2006 e ratificata in Cassazione nel 2007. Nella prima fase processuale si è svolto, grazie al pubblico ministero Marco De Paolis, un imponente lavoro investigativo, cui sono seguite le testimonianze in aula di superstiti, di periti storici e persino di due SS appartenute al battaglione che massacrò centinaia di persone a Sant'Anna. Fondamentale, nel 1994, anche la scoperta avvenuta a Roma, negli scantinati di Palazzo Cesi-Gaddi, di un armadio chiuso e girato con le ante verso il muro, ribattezzato poi armadio della Vergogna, poiché nascondeva da oltre 40 anni documenti che sarebbero risultati fondamentali ai fini di una ricerca della verità storica e giudiziaria sulle stragi nazifasciste in Italia nel secondo dopoguerra.

Prima dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, nel giugno dello stesso anno, SS tedesche, affiancate da reparti della X MAS, massacrarono 72 persone a Forno. Il 19 agosto, varcate le Apuane, le SS si spinsero nel comune di Fivizzano (Massa Carrara), seminando la morte fra le popolazioni inermi dei villaggi di Valla, Bardine e Vinca,nel comune di Fivizzano . Nel giro di cinque giorni uccisero oltre 340 persone, mitragliate, impiccate, financo bruciate con i lanciafiamme.

Nella prima metà di settembre, con il massacro di 33 civili a Pioppetti di Montemagno, in comune di Camaiore (Lucca), i reparti delle SS portarono avanti la loro opera nella provincia di Massa Carrara. Sul fiume Frigido furono fucilati 108 detenuti del campo di concentramento di Mezzano (Lucca), mentre a Bergiola i nazisti fecero 72 vittime. Avrebbero poi continuato la strage con il massacro di Marzabotto.

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