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Il divorzio è un istituto giuridico dell'ordinamento italiano finalizzato a far cessare gli effetti civili del matrimonio.
È stato introdotto il 1º dicembre 1970, durante il Governo Colombo, attraverso la legge 1º dicembre 1970, n. 898 - "Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio" (la cosiddetta legge Fortuna-Baslini), a prima firma del socialista Loris Fortuna. Ha avuto i voti favorevoli principalmente del Partito Socialista Italiano, del Partito Comunista Italiano, del Partito Socialista Democratico, del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria e del Partito Liberale Italiano. Ha invece avuto l'opposizione da parte della Democrazia Cristiana, del Movimento Sociale Italiano e del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica.
Il primo stato moderno della penisola italiana a consentire nella propria legislazione il divorzio fu il Regno d'Italia napoleonico (1805-1814), il quale emanò il cosiddetto "Codice civile napoleonico" il 5 giugno 1805[1][2].
Esso fu seguito dal Regno di Napoli che, sotto il governo di Gioacchino Murat, emanò lo stesso codice. Questo, fra le altre cose, consentiva il divorzio e il matrimonio civile, fra le polemiche che tali provvedimenti suscitarono nel clero più conservatore, che vedeva sottratto alle parrocchie il privilegio della gestione delle politiche familiari risalente al 1560[3][4].
Benedetto Croce riuscì a trovare, per tutto questo periodo, non più di tre casi di divorzio: un po' per l'impopolarità dell'istituzione, un po' perché i giudici, minacciati di scomunica, frapponevano ogni possibile difficoltà. Anche la legge era abbastanza farraginosa: per il divorzio consensuale, occorreva il consenso non solo dei genitori, ma addirittura dei nonni: se defunti, occorreva presentarne l'atto di morte[5].
Una proposta di legge per l'istituzione del divorzio venne presentata per la prima volta al Parlamento italiano nel 1878. A prendere l'iniziativa fu un deputato del Salento, Salvatore Morelli, noto per le sue doti di uomo integerrimo e per essere stato precedentemente rinchiuso in un carcere borbonico sotto accusa di cospirazione.
Da tempo si occupava di problemi sociali ed in particolare di quelli riguardanti la famiglia. Il suo primo progetto di legge non ebbe successo, ma senza scoraggiarsi lo ripresentò due anni dopo, nel 1880, ottenendo un risultato parimenti negativo.
Dopo la sua morte, avvenuta nello stesso anno, il divorzio trovò altri fautori, e progetti di legge in suo favore vennero presentati nel 1882, nel 1883 e, dopo un periodo di silenzio, comparirono ancora nel 1892 per opera dell'onorevole Villa. Ma fu necessario arrivare al 1902 perché si avesse l'impressione che una legge divorzista stesse realmente prendendo forma.
Infatti in quell'anno il governo di Giuseppe Zanardelli presentò un disegno di legge che prevedeva il divorzio in caso di sevizie, adulterio, condanne gravi ed altro, ma anche questa volta il disegno di legge cadde con 400 voti sfavorevoli contro 13 a favore. Con la prima guerra mondiale il discorso cadde nell'oblio.
Nel 1920 ci fu battaglia fra i socialisti (che dichiaravano che in certi casi il divorzio «in virtù dei soli principi religiosi non si può rigettare») e il Partito Popolare Italiano, ossia i cattolici.
Più tardi Mussolini, coi Patti Lateranensi, si pronunciò contro e dovettero passare 34 anni prima che la legge sul divorzio venisse riportata in discussione.
Nonostante i mutamenti nelle strutture sociali e nel costume che si svilupparono nel dopoguerra, l'Italia (soprattutto grazie all'influenza delle gerarchie della Chiesa cattolica sul potere politico) rimase a lungo senza una legislazione sul divorzio. Mentre le persone facoltose potevano rivolgersi al Tribunale ecclesiastico della Sacra Rota, oppure far delibare in Italia sentenze di divorzio pronunciate da tribunali di Paesi dove la legislazione locale consentiva il divorzio anche di cittadini stranieri (segnatamente il Messico e la Repubblica di San Marino),[senza fonte] il resto dei coniugi che si separavano doveva rassegnarsi a non poter regolarizzare le unioni con i/le loro nuovi compagni/e ed i figli nati da esse, i quali, fino alla riforma del diritto di famiglia nel 1975, continuarono a subire discriminazioni.
Il 26 ottobre 1954 il deputato socialista Luigi Renato Sansone presentò[6] alla Camera un disegno di legge per l'istituzione del cosiddetto piccolo divorzio, applicabile solo ai matrimoni con scomparsi senza lasciare traccia, condannati a lunghe pene detentive, coniuge straniero in presenza di divorzio all'estero, malati di mente, lunghe separazioni fra i coniugi o tentato omicidio del coniuge[7][8].
La proposta non fu nemmeno discussa e fu ripresentata il 12 giugno del 1958 da Sansone, assieme a Giuliana Nenni, al Senato. Neanche al Senato vi fu una discussione sul disegno di legge[9] che pur aveva alimentato un vivace dibattito nel Paese.
Nel 1965, in concomitanza con la presentazione alla Camera dei deputati di un progetto di legge per il divorzio da parte del deputato socialista Loris Fortuna, iniziava la mobilitazione del Partito Radicale per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema dell'istituzione del divorzio in Italia.
Soprattutto dopo il 1969, insieme alla Lega italiana per l'istituzione del divorzio (LID), il partito si mobilitò con grandi manifestazioni di massa e una continua azione di pressione sui parlamentari laici e comunisti ancora incerti.
Il 1º dicembre 1970 il divorzio venne introdotto nell'ordinamento giuridico italiano; nonostante l'opposizione della Democrazia Cristiana, del Movimento Sociale Italiano, della Südtiroler Volkspartei e dei monarchici del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica, con i voti favorevoli del Partito Socialista Italiano, del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, del Partito Comunista Italiano, del Partito Socialista Democratico Italiano, del Partito Repubblicano Italiano e del Partito Liberale Italiano, venne approvata la legge 1º dicembre 1970, n. 898 - "Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio" (la cosiddetta legge Fortuna-Baslini), risultato della combinazione del progetto di legge di Loris Fortuna con un altro pdl presentato dal deputato liberale Antonio Baslini; nello stesso anno il Parlamento approvava le norme che istituivano il referendum con la legge n. 352 del 1970, proprio in corrispondenza con le ampie polemiche che circondavano l'introduzione del divorzio in Italia.
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Come sempre infinite difficoltà. Grazie di questa speciale informazione. Ciao Vincenzo.
RispondiEliminaDiritti che oggi vogliono calpestare.
EliminaIl mio babbo dice :- "Cosa fatta per forza val.meno di una scorza".
RispondiEliminaInutile tenere insieme ciò che non vuole stare insieme.
Sono diritti che devono esistere.
EliminaCavaliere, sono conquiste, non diritti.
EliminaInfatti in vari paesi il diritto che voi affermate dovrebbero esistere non esiste affatto nelle forme che noi pensiamo.