Articolo da Open Migration
Il Centro Studi e Ricerche sull’Immigrazione IDOS ha pubblicato il nuovo Dossier 2023 sull’immigrazione in Italia. Il rapporto ci restituisce un quadro ancora drammatico e ben lontano da quell’ideale di inclusione sociale e antidiscriminazione fondamentali per una società che possa dirsi realmente fondata sui diritti. Disuguaglianze e sfruttamento lavorativo sono solo alcune delle problematiche che affliggono in modo particolare le persone straniere, definite “essenziali” ma ancora inserite in un contesto fatto di propaganda allarmistica su presunte “invasioni” ed emergenzializzazione dell’accoglienza. Ce ne parla Oiza Q. Obasuyi.
L’invasione che non esiste e le vie legali mancanti
Innanzitutto nel nuovo Dossier 2023 del Centro IDOS viene evidenziato che, a differenza della propaganda mainstream sui flussi apparentemente ingovernabili, non esiste alcuna invasione di persone straniere in Italia. Infatti, il numero delle persone straniere residenti in Italia – immigrate o nate nel Paese – si è assestato, nell’ultimo quinquennio, sui 5 milioni (l’8,6% della popolazione). Al contrario, a salire è il numero di persone italiane residenti all’estero: quasi 6 milioni (erano 4 milioni nel 2010), che nel 2018 avevano conosciuto un picco di espatri (155.900) gradualmente ridotto nei 4 anni successivi (82.500 nel 2022).
La stessa presidente Meloni, durante l’intervento all’assemblea generale delle Nazioni Unite del mese scorso, ha affermato che l’Italia non è il “campo profughi d’Europa” – facendo sottintendere quindi che l’Italia sia il paese che “accoglie” di più –, questo nonostante gli stessi dati Eurostat, riportati dal Dossier, provino che l’Italia non si trova affatto sulla vetta della classifica dei paesi Ue che ricevono più richieste di asilo. La Germania ne ha ricevute 218.000, la Francia 137.000, la Spagna 116.000, l’Italia 77.000. Inoltre, si legge nel Dossier, il problema risiede nella scarsa programmazione dell’accoglienza: infatti, alla fine del 2022 erano 108 mila le persone migranti inserite negli appositi centri (in crescita ma ben inferiori ai 184 mila del 2017), per i due terzi (66,8%, pari a 71.882 persone) concentrati nei Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria), le strutture che dovrebbero, per definizione, essere “straordinarie”, e quindi riservate a situazioni emergenziali. A causa del progressivo ridimensionamento del sistema di accoglienza – dai Decreti Salvini del 2018 all’attuale Decreto Piantedosi – l’accesso al sistema Sai (Sistema di Accoglienza e Integrazione) è stato sempre più ridotto, costringendo un gran numero di persone richiedenti asilo a rimanere stipate nel sistema dei Cas, dove peraltro sono stati soppressi vari servizi essenziali, come l’apprendimento della lingua italiana, l’assistenza legale e psicologica.
Di conseguenza, “l’emergenza” è un fenomeno strutturale che dura ormai da anni e non dipende tanto dagli arrivi, quanto dall’assenza di volontà politica di voler garantire un’accoglienza degna a chi chiede asilo – anche se vi sono posti e disponibilità, come è già stato spiegato nel rapporto “Centri d’Italia” (2021), di Openpolis e Action Aid. Ciò è ulteriormente dimostrato dall’attuale quantità di posti vuoti (oltre 2 mila) che presenta il sistema di accoglienza: “nell’ultimo anno, mentre nelle città italiane decine di persone dormivano all’addiaccio, il secondo livello di accoglienza – ossia il sistema Sai – per i migranti rimaneva ampiamente sottoutilizzato”, scrive il giornalista Luca Rondi su Altreconomia. E ancora “da gennaio a marzo 2023 le richieste totali sono state 11.218 mentre gli inserimenti 6.482, ovvero il 57% del totale”. Mancanza di posti? No, perché i numeri dicono che gli inserimenti sarebbero potuti avvenire per tutti, con ancora 27 posti in disavanzo. Un dato ancora più pesante se si considera che tra questi “posti fruibili”, sono già esclusi quelli “temporaneamente non fruibili” (circa 1.100 di media al mese)[…]”. Si ricordi, inoltre, che, come denunciato dall’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) nel mese di agosto, il Ministero dell’Interno aveva emanato una circolare in cui veniva indicato alle Prefetture disporre la cessazione immediata delle misure di accoglienza per coloro a cui, seppur era stata riconosciuta la protezione internazionale, non era stato ancora rilasciato il permesso di soggiorno, né era stato previsto il trasferimento nel sistema Sai. Di conseguenza, migliaia di titolari di protezione sarebbero rimasti senza alloggio, non avendo altra alternativa se non dormire per strada.
Un’altra problematica affrontata nel Dossier è quella legata al doppio standard tra persone rifugiate ucraine e persone rifugiate provenienti da altri Paesi e alla mancanza di vie legali di ingresso effettivamente percorribili. Da un lato, come viene spiegato nel Dossier, l’adozione della protezione temporanea per le persone rifugiate ucraine è di fatto stata lodevole: l’Italia a fine marzo 2022, una volta recepita la direttiva dell’Ue, ha concesso una protezione di un anno, recentemente rinnovata, oltre all’immediato accesso all’assistenza sanitaria, al sistema educativo, alla possibilità di cercare un impiego regolare. Non solo, nel Dossier è stato evidenziato che per il caso delle persone rifugiate ucraine, l’Italia ha adottato una strategia di accoglienza condivisa – che coinvolge Enti locali, servizi pubblici, datori di lavoro – prevedendo anche di stanziare un contributo di 300 euro al mese per ogni adulto e di 150 euro per i minori, per un periodo di tre mesi. Quindi per la prima volta, si legge nel Dossier, “le istituzioni pubbliche italiane hanno riconosciuto autonomia e responsabilità ai rifugiati, trattandoli da adulti capaci di badare a se stessi”. Il “caso ucraino” ha dunque modificato i parametri culturali con cui si era soliti considerare i nuovi arrivati e la nostra capacità di accoglierli” – l’Italia ha infatti accolto 170 mila persone rifugiate ucraine senza porre limitazioni numeriche.
Dall’altro lato, si legge nel Dossier, la sorte di chi ha tutt’altra nazionalità, specialmente se proviene da Paesi del c.d Sud Globale, è ben diversa. Non solo alle persone straniere extra-Ue che risiedevano in Ucraina, pur fuggendo dai medesimi pericoli delle persone ucraine, non hanno avuto il medesimo trattamento ma continuano a mancare canali di ingresso sicuri: anche in seguito al tragico naufragio di Cutro – in cui ha perso la vita un numero elevato di persone, tra cui molti bambini – il governo ha comunque deciso di adottare il c.d Decreto Piantedosi (Legge 50/23). Un intervento che, “lungi da introdurre reali misure per favorire canali sicuri di ingresso per i richiedenti asilo”, si legge nel Dossier, “e scongiurare il rischio di ulteriori tragedie in mare, è andato ad intaccare in maniera significativa il sistema di protezione in Italia” – si pensi alla detenzione delle persone di richiedenti asilo nei Cpr, al restringimento delle ipotesi di espulsione, all’eliminazione della possibilità di convertire il permesso di soggiorno per protezione speciale in motivi di lavoro, “impedendo così alle persone di costruire il proprio percorso di integrazione”.
L’integrazione mancata: tra precarietà, sfruttamento ed esclusione sociale
Nel Dossier è stato riportato l’andamento della Regolarizzazione 2020, attualmente monitorata dalla campagna Ero Straniero, emanata dal secondo governo Conte per l’emersione di lavoratori e lavoratrici stranieri costretti a lavorare in nero. Dopo tre anni, i permessi di soggiorno effettivamente rilasciati sono solo 65.166, si tratta di circa il 31% delle domande. Tra i maggiori ostacoli troviamo lentezza burocratica e carenza di personale amministrativo: infatti, soprattutto nelle grandi città come Milano e Roma, solo la metà delle istanze è arrivata a conclusione.
Sebbene nel 2022, riporta il Dossier, il tasso di occupazione dei cittadini e delle cittadine straniere sia cresciuto, rimane invariata la segregazione occupazionale: le lavoratrici straniere maggiormente impiegate nei settori della cura e del lavoro domestico, i lavoratori stranieri impiegati soprattutto nell’industria e nell’edilizia. Di fatto, “l’Italia continua a occupare massivamente le persone straniere in attività manuali e a bassa qualifica, da cui derivano retribuzioni inferiori: i non comunitari dipendenti da aziende del settore privato percepiscono, secondo l’Inps, il 31,2% in meno della media nella stessa categoria (15.707 euro annui rispetto a 22.822)”. Inoltre, continua a non mancare lo sfruttamento soprattutto nel settore agricolo: sono 405 i comuni italiani in cui si riscontrano pratiche illegali, un censimento che, rispetto al 2018 – quando erano 205 – fa emergere una cifra raddoppiata, “confermando che lo sfruttamento in agricoltura è diventato pressoché fisiologico nell’intera filiera agro-alimentare, anche di eccellenza”. In tutto questo, le persone straniere continuano a essere maggiormente colpite dalla povertà e dalla precarietà: nonostante il tasso di povertà ed esclusione sociale tra persone straniere raggiunga il 40% (il doppio rispetto a quello delle persone italiane), pochissime di queste sono riuscite ad accedere al Reddito di Cittadinanza (215 mila, ossia il 10%). La diretta conseguenza di una tale condizione socio economica è lo scarso accesso alla casa, costringendo molte persone straniere a ripiegare in massa su “bilocali o al massimo trilocali economici, mediamente di 55 metri quadri, situati nelle periferie dei capoluoghi di provincia (soprattutto quando si tratta di grandi centri urbani agglomerati metropolitani) o nell’hinterland, alimentando così ghettizzazione e disagio abitativo”, si legge nel Dossier.
Essenziali ma escluse quindi, le persone straniere in Italia che, nonostante tutto, continuano a contribuire positivamente sull’economia italiana: “nel 2021 il saldo tra spese (28,2 miliardi di euro) e introiti (34,7 miliardi di euro) dello Stato imputabili all’immigrazione ha segnato un guadagno per l’erario pubblico di 6,5 miliardi di euro, fortemente cresciuto rispetto al 2020 (circa 1 miliardo di euro in più) grazie alla ripresa post-pandemica dei settori in cui gli stranieri sono più impiegati”, riporta il Dossier.
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Fonte: Open Migration
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Articolo tratto interamente da Open Migration
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