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Con l'espressione disastro aereo delle Ande ci si riferisce all'incidente aereo avvenuto sulla Cordigliera delle Ande, nel territorio del comune argentino di Malargüe, il 13 ottobre 1972 e ai drammatici avvenimenti che ne conseguirono, conclusi con il salvataggio dei sopravvissuti entro la vigilia di Natale dello stesso anno. Nell'incidente e nelle settimane seguenti persero la vita 29 persone e ne sopravvissero 16.[1]
Negli anni 1970 l'aeronautica militare uruguayana (Fuerza Aérea Uruguaya) versava in difficoltà finanziarie: al fine di rimpinguare le proprie casse aveva iniziato ad affittare alcuni dei propri aeroplani ed equipaggi per operare voli passeggeri charter su diverse rotte interne e internazionali nel Sudamerica.
Tra questi vi era anche il volo 571, decollato la mattina del 12 ottobre 1972 dall'aeroporto Carrasco di Montevideo, in Uruguay, e diretto all'aeroporto Benìtez di Santiago del Cile. Il viaggio era stato prenotato dalla squadra di rugby degli Old Christians Club (legata al Collegio Universitario Stella Maris di Montevideo) per recarsi a disputare un incontro al di là della Cordigliera delle Ande: a bordo del velivolo vi era dunque la squadra al completo, accompagnata da tecnici, familiari e amici, ai quali si era aggiunta una persona estranea al gruppo, Graciela Mariani, che si doveva recare a Santiago per il matrimonio della figlia.
Il velivolo impiegato era un Fokker/Fairchild FH-227D. In cabina di pilotaggio sedevano il comandante, colonnello Julio César Ferradas, e il copilota, tenente colonnello Dante Héctor Lagurara; ambedue erano piloti militari con un'esperienza di migliaia di ore di volo, abilitati anche a condurre aerei da caccia. Nella circostanza era previsto che il pilotaggio fosse affidato a Lagurara, che stava maturando le ore di volo necessarie per acquisire la qualifica di comandante sui Fokker. Il personale di volo era completato dall'ufficiale di rotta, tenente Ramón Martínez, dal meccanico di bordo, sergente Carlos Roque, e da uno steward, sergente Ovidio Ramírez.
In totale l'aereo aveva pertanto imbarcato 45 persone, ossia due in meno rispetto a quanto preventivato: due giocatori della squadra infatti si recarono in Cile a bordo di comuni voli di linea, uno essendo giunto in ritardo all'aeroporto, l'altro in quanto figlio di un agente della KLM.
Il piano di volo prevedeva un viaggio diretto dall'Uruguay al Cile, senza scali intermedi: tuttavia, mentre si stava sorvolando l'Argentina, l'equipaggio venne informato che le Ande erano interessate da nebbia fitta e diffuse perturbazioni; dato che stava anche calando la notte, i piloti decisero per precauzione di atterrare all'aeroporto El Plumerillo di Mendoza. Passeggeri e militari scesero dall'aereo e si sistemarono in albergo nella città argentina, cogliendo l'occasione per fare qualche acquisto.
Il giorno successivo, 13 ottobre, le condizioni meteorologiche non apparivano migliorate: ciò, unitamente al fatto che i regolamenti aeronautici argentini vietavano agli aerei militari stranieri di rimanere più di 24 ore sul territorio nazionale, mise sotto pressione i piloti, chiamati a valutare se accollarsi il rischio di proseguire il viaggio oppure decidere di rientrare a Montevideo. Questa seconda eventualità appariva alquanto inopportuna per tutte le parti in causa: da un lato l'aviazione militare avrebbe dovuto rimborsare i biglietti (rimettendoci anche tutte le spese vive inerenti al volo: carburante, personale, manutenzione del velivolo), dall'altro i rugbisti avrebbero dovuto rinviare la tournée in Cile, in vista della quale avevano prenotato alberghi e vari altri servizi non rimborsabili integralmente.
Ferradas e Lagurara pertanto attesero l'arrivo di un aereo dal Cile al fine di consultarsi con il relativo equipaggio; ricevute rassicurazioni sulla praticabilità della prosecuzione del viaggio, decisero di ripartire verso Santiago.
La quota di tangenza del Fokker F27 (pari a 28 000 piedi/8 540 m) non gli permetteva di attraversare in un punto qualsiasi e con margine di sicurezza le Ande (che in quel tratto raggiungono altezze superiori ai 6 000 metri s.l.m.): l'aereo doveva quindi necessariamente attraversare la catena in corrispondenza di un avvallamento o un valico montano. Per raggiungere il Cile vi erano due rotte possibili: la prima, più veloce ma meno sicura, prevedeva l'attraversamento del passo Juncal, situato in linea d'aria circa 200 km a ovest di Mendoza, per poi sorvolare San Felipe e virare a sud verso Santiago; la seconda prevedeva invece una lunga discesa verso sud fino a Malargue, per poi deviare verso ovest, superare le Ande in corrispondenza del passo Planchón, sorvolare Curicó e lì infine virare a nord in direzione della capitale cilena.
Il tenente colonnello Lagurara, sebbene fosse stato rassicurato sulla praticabilità di entrambe le rotte, optò per quest'ultima: il Planchón era infatti a minor quota rispetto al Juncal e tutta la relativa aerovia era servita dal sistema di navigazione VOR (che era invece assente sulla tratta diretta). Il pilota presentiva infatti che le precarie condizioni atmosferiche avrebbero verosimilmente fatto sì che l'aereo volasse costantemente sopra un tappeto di nubi, tanto compatto da nascondere completamente le montagne; l'uso del VOR avrebbe quindi consentito un sicuro volo strumentale evitando pericolose derive e deviazioni.
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