giovedì 20 dicembre 2018

Ungheria: continuano le proteste contro la "legge schiavitù"



Articolo da Radio Città Fujiko 

Le proteste nell'Ungheria di Viktor Orban per l'innalzamento del tetto per gli straordinari a 400 ore l'anno, ribatezzata "legge schiavitù", spezza la retorica del "governo del popolo" e mostra il vero volto di un sovranismo organico al capitale. L'intervista a Simone Fana.


La legge sugli straordinari, ribattezzata "legge schiavitù", che ha portato in piazza migliaia di persone in Ungheria in questi giorni contro il governo di Viktor Orban, aspetta ancora la firma del presidente della Repubblica. Eppure, le imprese hanno già iniziato a distribuire fra i dipendenti i nuovi contratti di lavoro.

I sindacati ungheresi, sul piede di guerra, hanno chiesto ieri al capo dello Stato Janos Ader di non siglare la nuova norma che aumenta il tetto degli straordinari fino a 400 ore l'anno.

Se la legge dovesse entrare in vigore, i sindacati promettono battaglia con una mobilitazione nazionale. "Faremo scioperi in tutto il Paese, combinati con blocchi stradali", sullo stile dei gilet gialli in Francia, ha minacciato il presidente della confederazione 'Mszsz' Laszlo Kordas.
Ora è tutto nelle mani di Ader, che potrebbe firmare la legge prima di Natale, oppure potrebbe rimandare al Parlamento il testo contestato, o ancora chiedere un controllo della Corte costituzionale.

Quello che sta accadendo nel Paese magiaro, in realtà, è particolarmente interessante sul piano politico non solo locale, ma soprattutto internazionale.

L'Ungheria di Orban, infatti, è sicuramente sul podio del sovranismo europeo ed è purtroppo d'ispirazione politica e ideologica per molti altri Stati, tra cui l'Italia. Il vicepremier Matteo Salvini, ad esempio, ha spesso vantato un'amicizia e un'affinità col presidente ungherese, salvo poi tenere un rigoroso silenzio stampa quando Orban ha voltato le spalle all'Italia per varie questioni, dalla ripartizione dei migranti ai parametri economici europei.

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Fonte: Radio Città Fujiko 

Autore: Alessandro Canella


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Articolo tratto interamente da Radio Città Fujiko



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