Articolo da Il Menabò di Etica ed Economia
Luisa Corazza osserva che dopo mezzo secolo di applicazione del diritto antidiscriminatorio, le donne restano penalizzate nel mondo del lavoro e, inoltre, non sorprendentemente, si riproducono divari molteplici tra le donne, che non sono tutte eguali. Nel volume Il lavoro delle donne? Una questione redistributiva, confrontandosi anche con il pensiero femminista contemporaneo, Corazza esamina le diseguaglianze di genere guardando sia agli strumenti della lotta alle discriminazioni sia alle politiche di promozione del lavoro femminile.
Il Rendiconto di genere presentato dall’INPS il 24 febbraio scorso indica una persistente attualità della penalizzazione delle donne nel mercato del lavoro remunerato. Nel 2023, il tasso di occupazione femminile in Italia si è attestato al 52,5%, rispetto al 70,4% degli uomini, con un gap retributivo di oltre venti punti percentuali. Non a caso, secondo il Global Gender Gap Report 2024, l’Italia si colloca all’87mo posto su 146 paesi e perde, rispetto al 2023, otto posizioni, passando dal 79mo all’87mo posto su 146 Paesi.
Tentando di fare ordine in una messe di dati sconfortanti, tre sono gli ambiti nei quali la statistica certifica un persistente profondo scarto tra uomini e donne sul lavoro: a) la partecipazione delle donne al mercato del lavoro; b) il c.d. glass ceiling, ovvero la carenza di donne nelle posizioni apicali e c) il gender pay gap.
In merito al primo punto (a), va osservato purtroppo che, se pure nel 2023 il tasso di occupazione femminile resta fermo al 56,5%. La presenza delle donne si riduce poi di molto se si considera che il pubblico impiego è ormai un ambito a prevalente occupazione femminile (circa 2/3): nel lavoro privato, la percentuale di donne rispetto al totale degli occupati è del 41,7%. Quanto invece al percorso di carriera delle donne (b), si determina un’evidente difficoltà dell’occupazione femminile a raggiungere le posizioni apicali: nonostante tra il 2010 e il 2022 il gap si sia ridotto, tra i dirigenti le donne restano il 21% a fronte di un 79% di dirigenti uomini. Infine, grave problema del divario retributivo (c): la retribuzione annuale media è di 17.300 euro per le donne contro i 24.500 euro di quella degli uomini.
A fianco dei dati che mostrano gli stenti dell’occupazione femminile nei suddetti tre aspetti, resta sul tavolo il profilo, diverso ma speculare, che riguarda il lavoro famigliare, ovvero quel lavoro non retribuito che è essenziale al buon funzionamento di ogni economia (Chi cucina la cena di Adam Smith, si chiedeva Katrine Marçal). Secondo l’ultimo rapporto Bes, la quota di lavoro domestico svolta dalle donne in un’età compresa tra i 25 e i 44 anni è del 61%, cifra che sale al 70% nel Sud Italia.
Andando, poi, più a fondo nei dati, è possibile cogliere aspetti di differenziazione tra le donne che sono certamente in grado di condizionare la riflessione giuridica: la differenza tra uomini e donne aumenta a seconda di alcune variabili individuali, territoriali e sociali.
Impressionante è, anzitutto, il divario Nord/Sud: la distribuzione comunale del divario di genere nel tasso di occupazione indica una concentrazione nelle regioni del sud di comuni dove il divario supera il 30%, laddove nel centro-nord il divario resta fermo a tassi molto più ridotti (tra il 3 il 18%).
Il secondo fattore che incide sul divario, e che dovrebbe insegnare molto in termini di politiche pubbliche, è la c.d. child penalty, ovvero il calo nell’occupazione delle donne con figli piccoli. Nella fascia di età tra i 25 e i 49 anni, il tasso di occupazione è nettamente più alto per le donne senza figli (77,5%), rispetto a quello delle donne con figli tra 0 e 5 anni (56%). Anche in questo caso, la distribuzione territoriale penalizza fortemente il sud (38% al sud; 66,9% al nord; 64,4% al centro). Quanto la maternità incida sul lavoro risulta anche dai dati sulle dimissioni, dai quali emerge che una donna su cinque esce dal mercato del lavoro dopo la nascita di un figlio (con una decisione che per oltre la metà è legata ad esigenze di conciliazione).
Infine, un ulteriore fattore di diseguaglianza è il livello di istruzione, visto che il tasso di occupazione passa dal 91,1% per le donne con laurea al 49% per le donne con licenzia media. Il divario legato al livello di istruzione si riflette anche nella differenza occupazionale dopo la nascita dei figli, che si riduce di molto per le madri più istruite.
È proprio all’indagine delle cause e dell’esatta distribuzione di questa diseguaglianza che si dedica il libro “Il lavoro delle donne? Una questione redistributiva”, con un itinerario che parte dalle origini della discriminazione di genere e finisce con il trattare il tema del gender pay gap, che costituisce lo snodo ultimo e potremmo dire terminale della sottovalutazione delle donne nel mondo del lavoro.
I contributi del pensiero femminista contemporaneo, e soprattutto le frontiere aperte dall’analisi intersezionale suggerita inizialmente da Kimberlee Creenshaw consentono per la verità di mettere a fuoco la diversificazione dell’universo femminile e di assumere il dato – a lungo ignorato dalla teoria giuridica alla base del diritto antidiscriminatorio – che le donne non sono tutte eguali.
Questo libro ambisce proprio a spostare la discussione all’interno di quest’ambito problematico. I dati sul lavoro delle donne in Italia certificano, infatti, l’insufficienza di strumenti di stampo antidiscriminatorio i quali finiscono spesso per riprodurre nel rapporto “tra”le donne quel gap che ancora divide profondamente uomini e donne di fronte al grande tema del lavoro. Si pensi alla ricca quanto problematica giurisprudenza che si è formata intorno al part time.
Ciò implica anzitutto tenere a mente la specificità del tema “donne” del quadro della lotta alle discriminazioni. Fin dalle sue origini di strumento di contrasto alla race discrimination, il diritto antidiscriminatorio è stato, infatti, forgiato per affrontare problemi diversi dalle diseguaglianze che investono le donne. Occuparsi di donne impone invece di tenere in conto – nell’affrontare la dimensione dell’eguaglianza – un insieme di elementi che si radicano, per così dire, nella storia del mondo e in quella differenza tra il maschile e il femminile che qualifica l’umano stesso. Pur costituendo un primo decisivo passo verso l’affermazione della parità di genere, e nonostante in questo ambito siano stati forgiati alcuni concetti di importanza rivoluzionaria per squarciare il velo di neutralità che circonda la stessa idea di eguaglianza (come quelli di discriminazione indiretta e di azione positiva, a cui è dedicato il secondo capitolo), il diritto antidiscriminatorio si è dimostrato uno strumento fondamentale ma insufficiente, il che è certificato sul piano empirico dai persistenti divari che le donne tuttora scontano nell’accesso a lavoro, nei percorsi di carriera e nelle retribuzioni.
Preso atto, dunque, della necessità di guardare oltre il diritto antidiscriminatorio, il tema richiede di confrontarsi con le politiche pubbliche e con le loro finalità redistributive: a chi si rivolgono gli interventi di promozione delle donne? Quali donne favoriscono? Come si può evitare il riprodursi dei meccanismi classici della diseguaglianza all’interno dell’universo femminile?
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Fonte: Il Menabò di Etica ed Economia
Autore: Luisa Corazza
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Articolo tratto interamente da Il Menabò di Etica ed Economia
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