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L'alluvione del Polesine del novembre 1951 fu un evento catastrofico che colpì gran parte del territorio della provincia di Rovigo e parte di quello della provincia di Venezia (Cavarzerano), causando circa cento vittime e più di 180.000 senzatetto,[2] con molte conseguenze sociali ed economiche.
Durante le due settimane precedenti all'alluvione, si verificarono intense precipitazioni distribuite su tutto il bacino imbrifero del fiume Po. Tali precipitazioni, pur non raggiungendo nelle singole aree del bacino tributario i picchi massimi di intensità storici, furono caratterizzate da un'anomala continuità temporale e distribuzione spaziale: infatti, non vi fu praticamente interruzione per l'intero periodo e l'intero territorio del bacino imbrifero ne fu interessato. Inoltre, la distribuzione spazio-temporale delle precipitazioni fu tale da determinare la sovrapposizione dell'onda di piena dell'asta principale a quelle dei singoli affluenti alle rispettive confluenze. Tale fattore, effettivamente avvenuto nonostante fosse estremamente improbabile, costituisce più di ogni altro la causa delle anomale condizioni idrauliche in cui è venuto a trovarsi il fiume Po in occasione del disastroso evento. Il verificarsi di tale improbabile circostanza fece sì che l'onda di piena si incrementasse progressivamente, scendendo da monte verso valle, in corrispondenza di ogni singola immissione dei numerosi affluenti, tanto alpini che appenninici.
In occasione delle precedenti ricorrenti intumescenze del Po (l'ultima importante delle quali era stata quella del 1926) le perturbazioni avevano colpito il bacino tributario - in modo più intenso e continuativo - solo su uno dei due versanti (quello alpino o quello appenninico) o solo su un settore di esso (l'alto, il medio o il basso corso). Nonostante sia statisticamente più probabile che i tempi di corrivazione delle onde di piena dei singoli affluenti risultino sfalsati fra loro, andando così a distribuirsi in momenti diversi lungo l'asta principale, in occasione delle precipitazioni della prima metà di novembre del 1951 esse raggiunsero il Po tutte insieme, sommandosi. Il risultato fu un insostenibile carico idraulico che si andò ad abbattere sui tronchi terminali dell'asta principale, con un interessamento particolarmente grave delle province di Mantova, Ferrara e Rovigo.
Se nei giorni del 12, 13 e nelle prime ore del 14 novembre l'onda di piena transitò nel mantovano senza che si verificassero esondazioni, questo anche grazie alla tempestiva e massiccia realizzazione di interventi di contenimento, durante il passaggio della stessa tra le province di Ferrara, a sud, e Rovigo, a nord, avvenne l'irreparabile disastro.
Autorità competenti circa la gestione dell'evento
Le tre istituzioni direttamente interessate, per competenza, dalla natura degli eventi erano: Il Genio Civile di Rovigo e i relativi diretti organi superiori cioè il Magistrato alle Acque di Venezia e il Ministero dei Lavori Pubblici, la Prefettura e la Provincia, rispettivamente competenti per gli aspetti idraulici, quelli dell'ordine pubblico e del soccorso alle popolazioni e quello del coordinamento territoriale generale e delle funzioni logistiche.
Descrizione
12 - 14 novembre mattina: innalzamento degli argini
Già nelle prime ore del giorno 14 novembre, il colmo di piena iniziava ad interessare l'Alto Polesine. Gli abitanti di Melara, Bergantino, Castelnovo Bariano, Castelmassa, Calto e degli altri centri rivieraschi iniziavano una corsa contro il tempo nel tentativo di contenere le acque del fiume all'interno dei propri argini. Guidate dai propri sindaci in prima persona, sotto il coordinamento di tecnici locali, queste popolazioni intraprendevano un'opera di sovralzo delle sommità arginali mediante la costruzione di coronelle e soprassogli: le dette opere di contenimento (che raggiunsero in alcune tratte l'altezza 1,00 - 1,20 m) furono realizzate in condizioni particolarmente difficili; vi era infatti carenza di uomini, materiali (con grande penuria dei sacchi necessari per il riempimento in terra e la formazione dei rialzi arginali) e di mezzi.
Non altrettanto avvenne per il popoloso comune di Occhiobello, né per quello contiguo di Canaro. A differenza dei paesi rivieraschi posti più a monte, la partecipazione della popolazione alle tumultuarie opere di contenimento fu alquanto scarsa e si diffuse lo scoraggiamento, la paura ed il panico. Complice la notizia, rivelatasi poi falsa, che il fiume aveva rotto a Bergantino, alle ore 11 del mattino del 14 novembre i già sparuti e male assortiti gruppi di volontari che si trovavano ad operare sugli argini, quasi tutti cittadini di Occhiobello con pochissimi contadini, certo più idonei ad essere impiegati in tali generi di lavori, lasciarono gli argini al loro destino.
Nel corso della mattinata, in più tratti dell'argine sinistro del fiume Po, quelli più bassi, iniziarono le tracimazioni. Anche a causa della falsa notizia della rotta a Bergantino, il tragico evolversi degli eventi era segnato: le acque tracimate, stramazzando lungo il corpo arginale, ne determinarono ben presto l'erosione sino al suo totale sfondamento.
Cronologia dell'alluvione
Pur non esistendo un'univoca cronologia degli eventi, si riporta qui la sequenza oraria più accreditata secondo cui sono avvenute le rotte. La cosa certa è che le tre rotte si sono succedute in un brevissimo arco temporale. Peraltro, la quasi simultaneità degli eventi è una condizione necessaria del loro stesso verificarsi in forma multipla, in ragione dell'altrove citato effetto svuotamento, che la prima rotta determina e che avrebbe impedito un succedersi più dilatato delle tracimazioni successive. In altre parole, le rotte dovevano avvenire necessariamente in modo quasi simultaneo, in quanto, viceversa, l'abbassamento del livello idrometrico in seguito al verificarsi del primo evento ne avrebbe evitato il ripetersi, e l'intera esondazione sarebbe avvenuta da una sola bocca di rotta.
Alle ore 19:45 del 14 novembre, l'argine maestro del fiume Po ruppe a Vallone di Paviole, in Comune di Canaro. Alle ore 20:00 si verificò una seconda rotta in località Bosco, in comune di Occhiobello. La terza falla si produsse poco più tardi, alle ore 20:15 circa, in località Malcantone dello stesso comune. La massa d'acqua che si riversò, con furia sconvolgente, sulle terre del Polesine fu immane. Si calcola che la portata complessiva delle rotte sia stata dell'ordine dei 7.000 m³/s (6.000 m³/s secondo alcune stime, più di 9.500 m³/s secondo altre), a fronte di una portata massima complessiva del fiume stimata in quell'occasione in circa 12.800 m³/s (quindi circa 2/3 della portata fluente).
In una recente ricostruzione numerica[3] è stato mostrato come due ostacoli principali (la Fossa di Polesella e il Canale di Valle), trasversali alla direzione del flusso naturale nelle aree allagate, abbiano profondamente influenzato la dinamica e la tempistica dell'inondazione. In sostanza, gli ostacoli al flusso presenti nella pianura allagata hanno aumentato l'area inondata del 40% e hanno prolungato il tempo per raggiungere il mare da 5 a 15 giorni.
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