Articolo da Cultweek
Intricato nella trama e monumentale nel cast (Murphy protagonista e poi Damon, Affleck, Branagh, Malek, Blunt, Oldman, Hartnett e altri), il nuovo film del più hollywoodiano dei registi britannici è dedicato alla complessa parabola del padre della bomba atomica. Il “Prometeo americano” passò da eroe nazionale ad accusato di simpatie comuniste, fino alla riabilitazione postuma nel 2022. Tre ore mai noiose, senza viaggi interplanetari o effetti speciali, ma con molte riuscite acrobazie registiche
Se tutte le tre ore piene di Oppenheimer fossero come i suoi primi dieci minuti, tra ritmo incalzante di flash-back e flash-forward e visioni apocalittiche di scissione dell’atomo, usciremmo tutti quanti dalla sala coi capelli ritti in testa, urlando all’ennesimo, cervellotico miracolo in stile Christopher Nolan. E invece, con buona pace di fan e detrattori, la vera sorpresa è che per una volta la nuova fatica del regista britannico è quasi un film normale. Monumentale e intricato quanto basta, nel cast come nella trama, ma ben lontano dai meravigliosi deliri temporali di Tenet, Inception, Interstellar e persino di Dunkirk, “banale” film di guerra reso unico dallo stile narrativo nolaniano. Forse perché, rispetto ai precedenti, in Oppenheimer la regia cede ben presto il passo ai suoi interpreti, lasciando che siano loro a guidare la storia (anche quella con la “S” maiuscola) quasi spostando in secondo piano la consueta cifra stilistica del più hollywoodiano tra i filmmaker di Sua Maestà.
Il vero elemento naturale al centro del film, scomposto e studiato in ogni dettaglio e inquadratura, è infatti il particolarissimo e accattivante volto di Cillian Murphy, da sempre inquietante comprimario nei film di Nolan, e ora finalmente e meritatamente protagonista sul grande schermo, dopo la definitiva consacrazione televisiva nella serie Peaky Blinders. Non potrebbe essere altrimenti: per quanto arricchita dal solito stuolo di interpreti di altissimo livello (primi tra tutti Matt Damon, Robert Downey Jr., Emily Blunt e Florence Pugh, ma anche Rami Malek, Kenneth Branagh, Gary Oldman, Casey Affleck, Matthew Modine, Tom Conti, Josh Hartnett e Alden Ehrenreich ), la sceneggiatura segue passo dopo passo la vita del padre della bomba atomica, raccontata dai giornalisti Kai Bird e Martin J. Sherwin nella biografia premio Pulitzer American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer.
Un lungo viaggio, dai primi studi negli Stati Uniti alle conferenze in Europa, dal celeberrimo test di Los Alamos all’accusa di simpatie comuniste, che di fatto lo estrometterà dagli sviluppi della sua creazione fino alla riabilitazione postuma nel 2022. In mezzo, dubbi, rimorsi e speranze del “Prometeo Americano” vengono esplorate al microscopio, tra primissimi piani, love story un po’ stucchevoli, trovate registiche più riuscite (geniale l’uso del sonoro e bella la fotografia, sia in bianco e nero che a colori) e altre meno, tra cui le immancabili acrobazie cronologiche, stavolta ridotte a vezzo stilistico evitabile e macchinoso.
Eppure, forse è proprio nella relativa “normalità” il nuovo vero azzardo di Nolan, che sceglie di debuttare nel genere del biopic realizzando il film più lungo del suo imponente portfolio. Una sfida di 180 minuti vinta in pieno: nonostante una durata addirittura superiore ai 169 minuti della monumentale space-opera Interstellar, stavolta non servono viaggi interplanetari né effetti speciali per mantenere il pubblico incollato alla poltrona senza sbadigli. Lo conferma, almeno in parte, il successo di pubblico e critica ottenuto negli Stati Uniti e non solo, con un incasso di quasi 600 milioni di dollari nelle prime due settimane di proiezione.
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Fonte: Cultweek
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