martedì 19 luglio 2022

19 luglio 1985 – Alle 12:22 cede un bacino di decantazione di una miniera della Val di Stava. Lungo il suo percorso la colata di fango provoca la morte di 268 persone



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Il disastro della Val di Stava fu un'inondazione di fango che si verificò il 19 luglio 1985 nella val di Stava in Trentino e provocò la morte di 268 persone. L'inondazione fu causata dal cedimento degli argini dei bacini di decantazione della miniera di Prestavel, che causò la fuoriuscita e discesa a valle di circa 180000  di fango, che travolsero violentemente l'abitato di Stava, nel comune di Tesero.

È nota per essere stata una delle più grandi tragedie che abbiano colpito il Trentino-Alto Adige in epoca moderna. 

La miniera di Prestavel

La miniera di Prestavel è situata sulle pendici meridionali del monte Prestavel, nel massiccio di Santa sovrastante la valle di Stava. Venne sfruttata in modo saltuario fin dal XVI secolo per la produzione di galena argentifera. Nel 1934 venne accertato l'interesse estrattivo di alcuni filoni di fluorite. Venne gestita dopo la seconda guerra mondiale dalla società Montecatini, alla quale subentrarono fino al 1978 società del gruppo Montedison e quindi dei gruppi EGAM ed Eni. Dal 1980 al 1985 fu gestita dalla società Prealpi mineraria.[2]

I bacini di decantazione

Al di sopra dell'abitato di Stava, in località Pozzole, venne costruito nel 1961 il primo bacino di decantazione, dove veniva fatto decantare il materiale di scarto della miniera. L'argine di tale bacino, dai progetti iniziali che lo limitavano a 9 m, superò i 25 m. Dal 1969 fu realizzato un secondo bacino di decantazione, a monte del primo. Complessivamente, tra bacino inferiore e superiore si arrivò a circa 50 m di argine.

 Alle ore 12:22:55 del 19 luglio 1985 l'argine del bacino superiore cedette e crollò sul bacino inferiore, che cedette a sua volta. La massa fangosa composta da sabbia, limo e acqua scese a valle a una velocità di quasi 90 chilometri orari spazzando via persone, alberi, abitazioni e tutto quanto incontrò fino a che non raggiunse la confluenza con il torrente Avisio. Poche fra le persone investite sopravvissero.

Dalla sentenza-ordinanza del giudice istruttore del Tribunale di Trento, Carlo Ancona, del 25 maggio 1987[3]:

«Se a suo tempo fosse stata spesa una somma di denaro e una fatica pari anche soltanto ad un decimo di quanto si è profuso negli accertamenti peritali successivi al fatto, probabilmente [...] il crollo di quasi 170 mila metri cubi di fanghi semifluidi non si sarebbe mai avverato.»

 I soccorsi furono immediati ed efficienti ma pochissimi furono i feriti e le persone estratte vive dalle macerie: la violenza e la velocità della colata di fango non avevano concesso scampo. 267 morirono sul colpo e solo una ragazza estratta ancora in vita dalle macerie di uno degli alberghi di Stava sopravvisse per pochi giorni.

Il numero esatto dei morti del disastro di Stava fu accertato solo un anno dopo la catastrofe. Molte salme infatti non poterono essere riconosciute e fu quindi necessario ricorrere alla dichiarazione di morte presunta. Il tempo di attesa, richiesto per consentire tale dichiarazione (normalmente di 5 anni, a partire da prima dichiarazione di scomparsa) fu in questo caso ridotto con decreto legge a 1 anno[4]. Nel primo anno successivo alla catastrofe il numero delle vittime fu quindi stimato in quello delle salme riconosciute (197) più quello delle dichiarazioni di scomparsa (72), cioè 269. Un anno dopo il disastro fu possibile avere il numero esatto delle dichiarazioni di morte presunta, che risultarono essere 71. Da questo elenco venne infatti depennata la dichiarazione di scomparsa di un cittadino francese del quale non fu poi dichiarata la morte presunta.

I corpi delle vittime della val di Stava furono tutti recuperati grazie all'impegno di migliaia di soccorritori che lavorarono per più di tre settimane lungo la val di Stava e lungo il torrente Avisio fino al bacino idroelettrico di Stramentizzo. A causa di tale circostanza non tutti poterono essere riconosciuti. In seguito al disastro molte vittime furono riportate ai luoghi di origine, in 64 diversi cimiteri d'Italia. I 71 per i quali non fu possibile il riconoscimento rimasero a Tesero, nel cimitero monumentale delle vittime della val di Stava adiacente alla chiesa di San Leonardo

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