Articolo da La Città Futura
La concezione apologetica della flessibilità, diffusa dall’ideologia dominante, si è incrinata negli ultimi anni, in cui sono emerse le contraddizioni e le problematiche dei nuovi lavori flessibili e la flessibilità è stata progressivamente identificata con il precariato. In altri termini, le possibilità di realizzazione professionale aperte dalla flessibilità sono state progressivamente frustrate dall’incertezza della continuità occupazionale e retributiva. La perdita della sicurezza del posto toglie la possibilità di progettare a lungo termine, implementando il senso di smarrimento e la paura per il futuro. L’incertezza quotidiana di chi ogni giorno deve rimettersi in discussione, comporta spesso una vita di ansie e incertezze, nel vano tentativo di controllare forze sulle quali non si ha nessun potere. Vi sono frange sempre meno minoritarie della popolazione convinte di essere lasciate ai margini dello sviluppo sociale. Il rischio separa, esclude, stigmatizza, al punto che le persone o i gruppi che diventano (o sono fatti diventare) "persone a rischio" o "gruppi a rischio" sono considerati come non-persone, i cui diritti fondamentali sono minacciati. Dall'analisi delle dinamiche di esclusione ed emarginazione che riguardano gli individui nella cosìddetta società post-moderna emerge sempre più che la precarietà tende a essere vissuta come uno stigma che condiziona il proprio stare in società, poiché porta a una "disaffiliazione sociale", sino a credere di appartenere a una underclass condannata all'invisibilità e al silenzio, dal momento che la cittadinanza rimane ancora plasmata sulla figura del lavoratore a tempo indeterminato [1]. Tanto più che nel capitalismo flessibile nessuno è utile come individuo, tutti sono interscambiabili ed eliminabili, il che ingenera una crisi del senso di appartenenza al gruppo, alla comunità.
I lavoratori flessibili sono costretti a inseguire i repentini e imprevedibili mutamenti economici, impossibilitati a reggere il ritmo degli incalzanti cambiamenti, angosciati dal futuro e dalla paura di non farcela. Ciò comporta un indebolimento della posizione del singolo, l’incapacità di proiettarsi nel futuro e pianificare la propria esistenza. La precarietà porta un numero crescente di persone a lavorare per ottenere condizioni di esistenza ridotte al minimo, senza tempo da dedicare ai figli, senza modelli stabili da trasmettere, senza la possibilità di elaborare una narrazione personale e lavorativa che abbia uno sviluppo coerente e consenta di costruirsi un'identità passabilmente stabile.
Diversi recenti studi hanno mostrato le problematiche, a partire dai rischi per la salute dei lavoratori, legati alle nuove forme di organizzazione del lavoro: temporaneo o a progetto, prestazione d'opera, finto lavoro "in proprio" e outsourcing. Del resto, persino uno studio commissionato già dieci anni fa dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ha mostrato come un’occupazione precaria prolungata accresce “la sensazione di insicurezza e marginalità, provocando l’incremento di stress e preoccupazione, con rischi per la salute molto gravi”. La ricerca riscontra, inoltre, la connessione tra lo scarso equilibrio della vita professionale e quello della vita privata e famigliare e un legame fra la maggiore competitività sul luogo di lavoro e gli episodi di bullismo e molestie. Ma oltre a ravvisare un legame tra i nuovi pericoli per i lavoratori (soprattutto lo stress e le conseguenti malattie psicosomatiche) e i nuovi equilibri economici e organizzativi, lo studio sottolinea anche la frequente esclusione dei lavoratori precari dai tavoli sindacali su salute e sicurezza e il minore accesso (o del tutto assente) ad attrezzature e strumenti di protezione. Un altro aspetto riguarda i carichi di lavoro: le statistiche europee indicano che oltre metà degli occupati lavora a ritmi molto elevati. Se si aggiungono le costanti preoccupazioni di perdere il lavoro e di non arrivare alla fine del mese, la diagnosi è molto seria: il lavoro precario fa male alla salute. Le interruzioni tra un contratto e l'altro rappresentano, infatti, una discontinuità della responsabilità legale del datore di lavoro. E questo, secondo gli esperti, finisce per essere un ulteriore elemento di malessere. I risultati di tale sistema si traducono, dunque, in condizioni fisiche di lavoro peggiori e in un maggior carico d'impiego, i cui effetti vanno dagli incidenti più frequenti, all’insicurezza psicologica e a stress eccessivo cui possono seguire gastriti, disturbi cardio-circolatori, problemi nervosi. L’aumento delle patologie da ansia, nei paesi anglosassoni e negli Stati Uniti in particolare, ha raggiunto dei livelli preoccupanti.
Un’occupazione precaria favorisce, quando non provoca, inoltre, una “destrutturazione” spaziale e relazionale, con lo sgretolamento della percezione temporale, che rende arduo allacciare rapporti interpersonali non frammentari e discontinui e di stabile solidarietà [2]. Ciò impedisce di strutturare quella narrazione di sé e che è alla base del processo di acquisizione identitaria che si costruisce (ormai è assodato) anche attraverso il lavoro e il riconoscimento degli altri, all’interno di determinate etichette sociali. Ne consegue una difficoltà "narrativa" che, se può essere non avvertita, o superata con facilità nei momenti di benessere, rende il soggetto estremamente vulnerabile in corrispondenza dei momenti di crisi. Le implicazioni di tale problematica sono molteplici, ingenerando, ad esempio, la difficoltà di costituirsi in "noi" a favore di un "io", peraltro sempre più debole.
La soggettività divenuta estremamente vulnerabile per uscire da tale impasse ricorre sempre più all’autonarrazione quale forma terapeutica, come mostra il proliferare di reality book, reportages, blog e interviste sulla vita da precario, a partire dal successo internazionale di Generazione mille euro [3]. Al di là del tono scelto che va dal tragico all’ironico e all’autoironico, al centro di queste storie vi sono generalmente l'incertezza del futuro e la conseguente impossibilità di fare progetti a lungo termine e la sproporzione fra potenzialità, aspirazioni e le mansioni effettivamente svolte. E se nei reportages e interviste di Aldo Nove pubblicati da Einaudi (Mi chiamo Roberta, ho quarant'anni....) si impone l’ampio ventaglio di tipologie contrattuali e nel diario di un call-center di Michela Murgia (Il mondo deve sapere, Isbn) e di Katrin Röggla sui precari di “successo” (Noi non dormiamo, Isbn) emerge con limpidezza il sentimento amaro di chi quotidianamente sperimenta sulla propria pelle il peso del precariato. Esperienze analoghe si trovano d'altronde anche nei tanti blog presenti su Internet che raccolgono racconti in prima persona di ordinaria precarietà. Ma il rischio di questa proliferazione editoriale e di diari digitali è di restituire un'immagine tutto sommato “rassicurante” della precarietà, perché se gran parte dei “giovani” svolge un lavoro precario vuol dire che questa è ormai la regola.
Autore: Renato Caputo
Articolo tratto interamente da La Città Futura
Sono una lavoratrice precaria effettivamente da tutta la vita e sì, è molto logorante.
RispondiEliminaTi capisco.
Eliminaessere precari è frustrante ed alla lunga logora.
RispondiElimina👍
EliminaSONO PRECARIO
RispondiEliminaSono precario
Sono precario
E sarò tale anche da ottuagenario
Precario di salute
Probabilmente
Precario nel mio esistere
Sicuramente
Sono precario
E resterò precario
Ma una certezza
Mi attende
Da ottuagenario
E cioè la totale mancanza
Di una pensione
La drammatiaca assenza
Anche della minima
Ormai non ce n'è ragione
Sono precario
E lo sono in tutto
Dal mio lavoro
Alla mia vita
Dall'impossibilità di farmi una famiglia
Al dover subire l'ignoranza di chi
Attrbuisce a me
Questa colpa
E non a chi non ti concede un mutuo
Se non sei stabile
Se non puoi dare garanzie concrete.
Perchè poi
La realtà più odiosa
È che in un mondo dove per i giovani
Ed i meno giovani
Tutto è precario
Perfino il respirare senza museruola
Non è più garantito
I mutui precari invece non esistono
Sono rimasti indietro coi tempi
Sono solo per lavoratori stabili.
E poi si domandano
Perchè fanno pochi mutui
La risposta è semplice
Esistenze precarie
E mutui stabili
Non vanno d'accordo
Ed il lato comico
Di questa tragedia
È che la precarietà
Come regola sociale
Hanno contribuito a crearla
Anche le Banche
Già quelle che poi
Se sei precario
Il mutuo te lo sogni
Sono precario
Sono precario
Destinato a restare tale tutta la vita
Ed allora sapete cosa vi dico
Ho deciso
Abbandono per sempre questo
Stancante stato di precarietà
Vi lascio
Non sapendo cosa troverò
Varcando questa soglia terrena
Anch'essa precaria
Ma so una cosa:
Raggiungendo l'etenità
La precarietà dovrei non trovarla più
Perchè l'eterna preacarietà
Fino a che morte non ci separi
È terrena
Perchè solo l'uomo
Con ls sua sadica follia
Sa realizzare un ossimoro così devastante.
Ero precario
Ero precario
Ora sorrido
Al mio nuovo status
Che è sereno
Eterno
Stabile.
Curioso
Di qui siamo tutti stabili
Ma a nessuno di noi serve un mutuo.
DANIELE VERZETTI ROCKPOETA®
Grazie per i tuoi versi significativi.
EliminaNon si può mai vivere tranquilli.
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