venerdì 22 luglio 2022

Ci sarà un futuro?



Articolo da Comune-info

Lo sappiamo tutti, almeno chi non crede ai miracoli, che l’obiettivo centrale, quello di Parigi e di Glasgow, non sarà raggiunto. Certo, possiamo far finta, ancora per un po’, di non vedere – ulteriore ritardo che pagheremo carissimo – ma occorre prepararsi al meno peggio. E il meno peggio, secondo Guido Viale, si chiama adattamento. Bisogna salvare, fin che si è in tempo, almeno quello che si ritiene salvabile e lasciare indietro ciò di cui c’è meno bisogno. Cominciando con l’agricoltura e l’alimentazione che devono tornare a essere biologiche, multicolturali, di prossimità, senza più allevamenti intensivi. Il quadro generato dai cambiamenti del clima va guardato in faccia, certo con i dubbi e le variabili necessarie, ma senza reticenze. E va affrontato di petto. Subito. A più d’uno questo articolo, tutt’altro che rassicurante, sembrerà descrivere uno scenario distopico. Di fronte alla gravità di quel che vediamo ogni giorno, rifiutando puntualmente di trarne le conseguenze, non si tratta certo più di disquisire su bizzarre categorie come l’ottimismo e il suo contrario, ma di ipotizzare il tipo di analisi e ricerca più utile per cercare ancora qualche via di uscita.

Tutti i fenomeni attraverso cui è destinata a manifestarsi questa fine del mondo sono già in gran parte presenti: ghiacciai e calotte polari che si sciolgono, siccità e desertificazione, alluvioni che non vi pongono rimedio ma ne aggravano gli effetti, mare che si infiltra nelle falde, prosciugamento degli acquiferi, incendi che distruggono le foreste, non più moderati dall’umidità di suolo e piante e dalla scarsità di acqua per spegnerli, tifoni e diffusione di malattie nuove che non si riesce più a controllare. Sono tutti fenomeni in gran parte irreversibili.

I ghiacciai continueranno a sciogliersi e non si riformeranno per migliaia di anni, anche se le emissioni di gas climalteranti cessassero domani (il che non accadrà) e così le calotte polari. Gli acquiferi che abbiamo saccheggiato non si riempiranno più, né torneranno a scorrere pacificamente i fiumi, che alterneranno periodi di secca a piene che si trasformano in alluvioni. Le estati saranno sempre più torride, tanto da rendere invivibili aree sempre più estese del pianeta. Gli inverni saranno sempre più miti e avari delle precipitazioni a cui siamo abituati e gli incendi sempre più estesi e violenti.

La situazione che stiamo vivendo non durerà solo qualche giorno, o un’estate, o qualche anno, ma sarà la nuova normalità. Anzi, peggiorerà, con alti e bassi, di anno in anno, spingendo un numero crescente di abitanti della Terra ad abbandonare i loro Paesi per cercare sollievo e vivibilità in qualche regione meno rovente.

Le prime vittime di questo processo saranno – sono già – l’agricoltura e l’alimentazione che, con i loro consumi fossili, sono già oggi la principale fonte di emissioni climalteranti (in gran parte per la produzione di carni che impegna il 70 per cento dei suoli coltivati e dell’acqua utilizzata). Mangiare qualsiasi cosa sarà sempre di più un problema per un numero crescente di abitanti della Terra, ma industria e mobilità non se la vedranno meglio.

Fino a quando (quando?) tutta l’energia utilizzata non sarà generata da fonti rinnovabili non è affatto detto che quelle di diversa origine possano bastare. Sia quella nucleare che quella di origine fossile hanno bisogno di acqua, molta acqua, per funzionare. E ce ne è sempre meno a disposizione. In Francia molte centrali nucleari si fermano non solo per guasti e logoramento, ma perché non c’è più acqua per raffreddarle.

Si fermeranno in Italia e altrove molte centrali a gas e carbone per la secca dei fiumi. Senza elettricità si ferma anche l’industria, anche quella eventualmente impegnata nella produzione di impianti di energia rinnovabile o nella ristrutturazione degli edifici per ridurne i consumi energetici.

Conversione ecologica sempre più difficile

Così la conversione ecologica, anche volendola fare, sarà sempre più difficile. Non parliamo della conversione dalla combustione all’elettrico del parco veicoli (un miliardo e 300milioni di auto), oggi al centro dell’attenzione. Che senso ha? Dove e come produrremo l’energia per muoverlo, i materiali rari per farlo funzionare, quelli ordinari per fabbricarlo se l’industria dovrà lavorare a singhiozzo? E il turismo? Che senso ha fabbricare l’inverno con la neve artificiale per partecipare a uno scempio come le Olimpiadi Milano-Cortina? Quando si scoprirà che viaggiare verso terre lontane non garantisce più un sicuro ritorno?

E l’industria militare? Certo, è “prioritaria”. Le armi sono oggi il più grande affare, l’unico che ha potuto guardare in faccia il covid senza conseguenze. Arriverà una resa dei conti anche per loro, certo non prima di aver mandato in tilt il resto dei settori industriali.

E le Grandi Opere? Di tutte quelle che si apprestano ad aprire i cantieri con i fondi del Pnrr non resteranno che i debiti da saldare. Con che cosa? E a spese di chi? Tutti questi blocchi si ripercuoteranno in chiusure, fallimenti, licenziamenti, disoccupazione, perdita di reddito, senza che siano state programmate collocazioni alternative per l’occupazione e la produzione.

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Fonte: Comune-info  


Autore: 
Guido Viale

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Articolo tratto interamente da 
Comune-info 


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