martedì 4 settembre 2018

Il sogno di una scuola pubblica rivolta a tutti i ceti sociali


Articolo da Roars

C’era una volta l’idea di una scuola pubblica, universalista, gratuita, rivolta a tutti i ceti sociali, nelle cui classi potevano sedere nello stesso banco il figlio dell’avvocato e quello dell’operaio o del contadino. Si voleva con essa dare corpo al grande sogno illuministico: l’elevazione dell’umanità e il riscatto delle classi sociali più svantaggiate attraverso la cultura, la possibilità di un loro progresso con lo studio, l’opportunità di sfuggire al destino segnato dalla nascita grazie alla dura fatica e all’impegno dello studio. E se di fatto percentualmente erano ancora pochi i figli delle classi subalterne che accedevano alle scuole più prestigiose (come i licei), non era perché queste erano loro precluse da qualche barriera formale, ma per le condizioni sociali e culturali di provenienza.

Sembrava che verso questa idea di scuola ci si stesse avviando con quella ereditata nel dopoguerra; essa aveva sì i suoi percorsi di eccellenza – disegnati nel recente passato dittatoriale, ma da un illuminato filosofo – incarnati nei licei (scientifico e specialmente classico, l’unico che fino al 1968 permetteva l’accesso a tutte le facoltà universitarie), ma essi si erano via via aperti a tutte le classi sociali, a seguito del generale rivolgimento della società italiana, del miglioramento delle condizioni economiche della gente sino allora emarginata e subalterna e del convincimento, ancora diffuso e politicamente praticato, che una buona istruzione di massa potesse essere di giovamento per il paese: l’obbligo scolastico viene così progressivamente esteso negli anni, sino ad arrivare alla scuola media unificata nel 1963 (con le sue luci ed ombre). Nei licei – si diceva – viene preparata la classe dirigente; ma questa classe dirigente ora poteva venire da ceti sociali che prima ne erano rigorosamente esclusi: negli anni ’60 e ’70 pareva proprio che tale idea di scuola potesse diventare uno straordinario veicolo di mobilità sociale. Avvocato poteva ora diventare il figlio del bottegaio, o dell’ambulante; medico chirurgo il figlio del pescivendolo, o del commesso.

Le famiglie lo avevano capito: sapevano che a scuola si poteva decidere il destino dei loro figli e ci tenevano a mandarli nelle scuole migliori. Si ambiva addirittura a fare loro frequentare il liceo classico (o almeno lo scientifico), solo che avessero dimostrato di avere qualità e voglia di studiare. Che sono equamente divise, per fortuna, e non solo appannaggio dei ceti abbienti. E così, con grande rispetto e deferenza verso una cultura che ritenevano una conquista e un prezioso bene, cercavano di mandare i loro figli nelle migliori scuole, si assicuravano che venissero iscritti nelle sezioni più di qualità, si informavano dove fossero i docenti più bravi: non quelli più lassisti o dalla sufficienza facile, non le sezioni dove si promuoveva più facilmente, non le scuole dove si studiasse meno. E così questi “figli del popolo” potevano competere con quelli degli avvocati e dei professionisti, dei benestanti e dei redditieri che, pur partendo da condizioni economiche e culturali di vantaggio, non potevano essere più sicuri di aver riservati solo per i loro pargoli i posti migliori: ormai dovevano sgomitare per affermarsi, in concorrenza col figlio del pizzicagnolo. Sembrava che fosse sul punto di attuarsi l’ideale illuminista e della “società aperta”: una scuola che selezionava in base al merito su una platea vasta di discenti e così forniva una più vasta coorte dalla quale sarebbe naturalmente derivata una classe dirigente migliore e più qualificata.

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Fonte: Roars


Autore: Francesco Coniglione

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Articolo tratto interamente da Roars


10 commenti:

  1. Ho scritto qualcosa in merito ai costi della scuola pubblica per le famiglie, ma non ricordo quando sarà online.
    Ti dico solo che è una vergogna.
    Se si chiama scuola dell'OBBLIGO è perché lo Stato dovrebbe provvedere quantomeno a formire i libri gratuitamente.
    Altrimenti, dovrebbe permettere a ciascuna famiglia di scegliere se iscrivere i propri figli a scuola, oppure no.

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  2. Per esperienza l’università statale, purtroppo, e per determinate facoltà, non garantiscono quella preparazione e serietà che offrono quelle private, non solo, per determinate professioni è richiesta la laurea di un’università privata. Le cose vanno così, purtroppo.
    sinforosa

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    1. Negli anni si sono portati troppi soldi pubblici verso le scuole private, va rafforzata la scuola pubblica.

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  4. Un articolo molto interessante e che mette in luce verità incontrovertibili sul come si sia agito in modo subdolo per indebolire la scuola pubblica ed instillare il dubbio ai più poveri che lo studio sia un inutile lusso. Scandaloso!

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