giovedì 19 gennaio 2012
Li chiamarono... briganti: recensione del film
Li chiamarono... briganti! è un film storico diretto nel 1999 da Pasquale Squitieri, incentrato sulle vicende del brigante lucano Carmine Crocco e della sua banda. Venne subito sospeso nelle sale di proiezione ed è, attualmente, di difficile reperibilità. Ciononostante, il film è divenuto un importante punto di riferimento per i sostenitori del revisionismo risorgimentale, inoltre ha riscosso un grande successo in alcuni convegni e università.
Trama
Con la caduta del Regno delle Due Sicilie e la sua annessione al regno dei Savoia, il sud Italia viene logorato da un sanguinario scontro che vede contrapporsi l'esercito sabaudo fedele al re Vittorio Emanuele II e gruppi di insurrezionalisti, composti perlopiù da braccianti disperati e nullatenenti (etichettati "briganti" dai piemontesi) e militari del decaduto regno borbonico. Tra i rivoltosi del meridione si distingue Carmine Crocco, un popolano originario di Rionero in Vulture. Tornato al proprio paese, Crocco scopre che il potere ha sempre la stessa faccia: con il nuovo governo sabaudo, la situazione economica e sociale non è affatto cambiata e la classe dominante ha le mani libere per speculare ed opprimere la gente, vedendo un profondo disagio negli occhi dei suoi compaesani. Carmine, già ricercato per aver ucciso un uomo che aveva umiliato sua sorella, ha combattuto con Garibaldi, sperando di ottenere l'amnistia e un posto nella Guardia Nazionale Italiana come promesso dal nuovo governo. Ma la parola non viene mantenuta e Carmine è rinchiuso in carcere ma con l'aiuto della chiesa viene subito liberato. Crocco è amareggiato per la promessa mancata del nuovo governo e il clero locale, vedendo in lui una grande dote di leader, lo convince a diventare il capo della resistenza antiunitaria. Sposando la causa dei Borbone, Crocco forma un esercito composto prevalentemente da persone disagiate e con l'appoggio dei suoi ausiliari Ninco Nanco, Caruso e la sua consorte Filomena, conquista varie città della sua zona, tra cui Rionero e Melfi, in nome del re Francesco II. Le sommosse provocate dal brigante preoccupano il nuovo governo e così viene incaricato il generale Enrico Cialdini di eliminare il brigantaggio con la forza e ripristinare l'ordine. Cialdini ordina l'arresto dei briganti e di chiunque avesse rapporti con loro, impone stermini di massa (ove non vengono risparmiati neanche donne e bambini) e sequestri di beni di prima necessità per il popolo.
I suoi metodi crudeli vengono contestati dal caporale dei carabinieri Nerza, sebbene costretto ad obbedire agli ordini superiori, ma ciò non distoglie Cialdini dal suo obiettivo. Nel frattempo, Crocco riceve il generale spagnolo José Borjes, mandato dal generale borbonico Tommaso Clary per conto di Francesco II, con l'obiettivo di trasformare la banda del brigante in un vero e proprio esercito. Tra i due però i rapporti sono pessimi e il sodalizio durerà poco, poiché Carmine teme che Borjes possa prendere il controllo dei suoi uomini e così decide di interrompere la collaborazione con il generale. Intanto Caruso sparisce all'insaputa di tutti, costituendosi presso le autorità sabaude e sperando in un provvedimento di misericordia nei suoi confronti. Essendo a conoscenza dei rifugi e delle tattiche dei briganti, Caruso rappresenta un componente essenziale per infliggere un duro colpo alle bande e così viene affidato al caporale Nerza per condurre i soldati piemontesi nel loro covo. Il suo tradimento porta alla decimazione dei gruppi di cui era parte e molti dei suoi ex compagni d'armi, compreso Ninco Nanco, vengono eliminati. Davanti ad una battaglia persa, per Carmine l'unica via per mettersi in salvo è la fuga.
Curiosità sul film
È prettamente un film revisionista, volto a raccontare un'altra versione dei fatti avvenuti poco dopo il Risorgimento, in special modo nel meridione. Gli eventi narrati forniscono un quadro generale della situazione nell'immediato periodo posteriore all'unità, dove vengono illustrate in maniera cruda le atrocità che l'esercito piemontese perpetrò nei confronti delle popolazioni lucane. Tra queste: stupri, eccidi di massa compiuti in nome del diritto di rappresaglia e decapitazioni di alcuni briganti, le cui teste furono messe in mostra per intimorire le popolazioni locali. Quest'episodio fa riferimento ad una pratica effettivamente utilizzata durante la repressione del brigantaggio, documentata attraverso testimonianze fotografiche e bibliografiche. Inoltre Squitieri mette in luce altri aspetti di questa controversa pagina storica come i contatti tra governo sabaudo e criminalità organizzata per acquietare le rivolte e le conseguenze negative dell'unità d'Italia che si abbatterono nel sud della penisola: la questione meridionale e l'emigrazione.
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