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domenica 28 settembre 2025

In aumento le malattie professionali



Articolo da Il Manifesto in rete

Già nello scorso articolo del 14 settembre (QUI) si erano riportati i dati sulla continua e rapida crescita delle malattie professionali – d’ora in avanti, MP – e sulla (a dir poco discutibile) diagnosi – non necessaria negatività dell’aumento delle denunce, in quanto sintomo di consapevolezza, emersione del fenomeno e prevenzione dello stesso – che l’INAIL fa del fenomeno nella Relazione annuale sul 2024(NB: non risulta che altre istituzioni ne facciano altre, di analisi). 

Qualche numero, intanto, sui primi sette mesi del 2025: MP denunciate 59.857, (+5.386 rispetto allo stesso periodo del 2024 per +9,9%). Impressionante l’aumento nel quinquennio: 

  • 2023 + 34,7% 
  • 2022 + 65,5% 
  • 2021 + 76,8% 
  • 2020 + 137,5% 
  • 2019 + 55,5%  

Ottica di genere: + 4.134 denunce per i lavoratori, (da 40.248 a 44.382, +10,3%), e + 1.252 per le lavoratrici, (da 14.223 a 15.475, +8,8%). Aumento sia per i lavoratori italiani (da 49.843 a 54.410, +9,2%), sia per gli stranieri, (da 4.628 a 5.447, +17,7%). Le prime tre patologie denunciate restano quelle del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, quelle del sistema nervoso e quelle dell’orecchio; seguono i tumori e le patologie del sistema respiratorio. 

Più volte si è detto che il dato delle mere denunce è però ingannevole; infatti, se dalle denunce passiamo al riconoscimento delle patologie come di origine professionale, balza all’occhio che mentre gli infortuni denunciati vengono riconosciuti come tali ed indennizzati in circa il 90% dei casi, la situazione sulle malattie professionali è radicalmente diversa, con percentuali di riconoscimento drasticamente inferiori. Nel 2024, ad esempio, sono state riconosciute 32.654 malattie professionali su 88.354 denunce; e pur in presenza di alcune migliaia (la Relazione INAIL non è più precisa) di pratiche ancora in istruttoria, la percentuale di riconoscimento è appena sotto il 37%. Poiché più malattie professionali possono coesistere sulla stessa persona, non dimentichiamo che le denunce hanno riguardato nel 2024 circa 58.000 persone; la Relazione non riporta dati su quanti se la sono vista riconoscere. 

Per quanto trascurato da istituzioni e decisori politici, e pressoché assente sui media, le malattie professionali nel loro complesso sono fenomeno studiato anche approfonditamente: esiste infatti, in particolare, il cosiddetto sistema MALPROF, attivato da ormai almeno un quindicennio anche se con prime versione all’inizio del secolo. Si tratta di sistema di sorveglianza (ASL, Regioni, INAIL, Ministeri) delle malattie professionali e dei rischi lavorativi, sviluppato per registrare e analizzare le patologie legate al lavoro e identificare tempestivamente i rischi, consentendo interventi di prevenzione efficaci. Utilizza uno strumento web, MalprofWeb, che raccoglie e analizza i casi segnalati dai Servizi di Prevenzione delle ASL e effettua ricerche attive anche negli ospedali, integrando dati assicurativi e registri di patologia per un quadro completo del fenomeno. Non è possibile ora approfondirne la trattazione in questa sede; mi limito ad osservare che pur nella disponibilità (persino sorprendente) e ricchezza di informazioni ed analisi, non si rinvengono corrispondenti strategie di intervento, pur nella consapevolezza che l’eterogeneità delle malattie professionali e dei relativi rischi, e la compresenza di fattori extra-lavorativi (fattori ambientali, diverse vulnerabilità individuali, invecchiamento della popolazione), richiedono strategie mirate per ogni tipo di patologia, o almeno per quelle numericamente prevalenti. In ogni caso, di recente l’INAIL ha pubblicato una specifica e pregevole scheda cui rimando (https://www.inail.it/portale/it/inail-comunica/pubblicazioni/catalogo-generale/catalogo-generale-dettaglio.2025.09.malprof-le-malattie-psichiche-sul-lavoro.html), fonte del presente articolo, e con riserva di successivi approfondimenti. 

Tornando alle malattie psichiche (semplificando: ansia, stress, depressione) esse appaiono a prima vista un fenomeno di entità pressoché trascurabile: dal 2019 al 2023 le denunce sono state in tutto 2047, cioè poco sopra l’1% del totale; e riconosciute solo 149 (7,28%). Per contro, nel medesimo quinquennio la percentuale di riconoscimento di tutte le malattie professionali è stata del 47% (si noti come i dati sul 2024 citati sopra indichino una diminuzione comunque sensibile). In realtà la percentuale cumulata sul quinquennio è ingannevole; nel 2020 e 2021, imperante il COVID con relativo disagio psichico generalizzato, i riconoscimenti arrivarono ad oltre il 10%, e su numeri di denunce più contenuti. 

Riconosce peraltro la stessa INAIL nel suddetto studio che la bassa percentuale di riconoscimento è “indice delle difficoltà nella diagnosi di queste patologie e nell’attribuzione di un nesso causale con l’attività lavorativa, ma vi è sicuramente anche una sotto denuncia di queste malattie.” 

Tuttavia, al di là dell’entità (difficile anche solo da stimare) delle sotto denunce, le pur poche malattie psichiche sono la spia di un crescente disagio che si allarga nel mondo del lavoro, e non solo in Europa. Stress, ansia e la depressione costituiscono, a parere dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA), costituiscono il secondo problema di salute lavoro-correlato più comune per i lavoratori europei. Secondo l’indagine Flash Eurobarometer – OSH Pulse (https://osha.europa.eu/it/facts-and-figures/osh-pulse-occupational-safety-and-health-post-pandemic-workplaces), condotta nel 2022 verso il termine dell’emergenza COVID-19, mostra che il 27% dei lavoratori è affetto da stress, ansia o depressione causati o peggiorati dal lavoro. Alcuni dei rischi psicosociali che si sono rivelati più dannosi per la salute dei lavoratori sono gli orari di lavoro cosiddetti “asociali”, cioè incompatibili con la normale vita sociale e familiare (chi legge può provare a censire quante sono le attività di propria conoscenza, soprattutto nei servizi, operativi h24 o 18, sette giorni la settimana su sette festività e domeniche comprese), e l’intensità del lavoro stesso. 

Un elemento correlato, fonte del disagio psichico, sono poi molestie (sessuali in primo luogo), bullismo e violenze vere e proprie sul luogo di lavoro, che colpiscono ovviamente le lavoratrici ma anche i lavoratori maschi. Secondo uno studio su 15 paesi dell’UE dell’Agenzia Europea per la sicurezza e salute sul lavoro (https://osha.europa.eu/it/highlights/say-no-harassment-work-oira) “(indagini)… sul 2020 riportano una percentuale più elevata di dipendenti donne che dichiarano di essere esposte a bullismo o molestie sul lavoro rispetto ai dipendenti uomini (ovvero l’1% delle donne e lo 0,6% degli uomini). Risultati simili emergono dall’indagine telefonica EWCS 2021 (EWCTS 2021). La quota di donne che subiscono bullismo, molestie e violenza sul lavoro è superiore a quella degli uomini (6,8% delle donne rispetto al 5,1% degli uomini)”. Però il mero dato “biologico” uomini/donne non è però ulteriormente dettagliato circa le identità sessuali, essendo verosimile che le persone LGBTQ siano più vulnerabili e più colpite. In ogni caso, a fronte di questi numeri, pur in assenza di un dato specifico per l’Italia, c’è da meravigliarsi che le malattie psichiche denunciate qui siano così poche; e, si badi esclusivamente per queste patologie, viene da condividere la posizione INAIL sulla non necessaria negatività di un aumento delle denunce. 

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Fonte: Il Manifesto in rete 

Autore: 
Maurizio Mazzetti

Licenza: Creative Commons (non specificata la versione


Articolo tratto interamente da Il Manifesto in rete


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