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domenica 28 settembre 2025

Morta a Cuba il 25 settembre, l'attivista Assata Shakur



Articolo da Me-Ti 

È morta a Cuba, la terra dov’era in esilio da quasi cinquant’anni. Imprigionata per aver ucciso un agente di polizia durante uno scontro a fuoco – accusa che ha sempre respinto con fermezza –, giudicata da una giuria di soli bianchi, rinchiusa nella cella senza luce di un carcere maschile e sottoposta a violenze continue, dopo sei anni di detenzione, nel 1979 Assata Shakur riesce ad evadere grazie all’azione armata dell’organizzazione di cui faceva parte, la Black Liberation Army (BLA), costola del Black Panther Party, e ripara a Cuba, dove ottiene l’asilo politico.

La sua storia è molto nota alle persone che hanno militato nei primi anni 2000: Silvia Baraldini, che dopo anni di prigione negli USA ottenne di essere estradata e riuscì, anche grazie a un enorme movimento di sostegno, a ritornare in Italia proprio in quel periodo, era parte del commando che, senza versare una goccia di sangue, era riuscito a liberare Assata.

Come militanti di quella generazione abbiamo conosciuto Assata nell’intreccio di queste storie italiane, americane, cubane – e di molte altre, una fra tutte: era la madrina del rapper Tupac Shakur.

Per aver letto la bellissima autobiografia, che porta semplicemente il suo nome (e che forse potete trovare usata su qualche bancarella o in rete) o per aver visto il documentario sulla sua storia (che adesso trovate su YouTube).

Assata è stata parte della formazione di molte di noi, se avete mai letto qualcuna delle sue poesie potrete immaginare perché ci piaceva tanto: raccontava di donne-amazzoni, di donne-rinoceronte, di donne fiere e piene di cicatrici, scriveva: “dicono che sei pazza/perché non sei abbastanza pazza/ da inginocchiarti quando te lo dicono (…) Ti odiano mammina/ perché smascheri la loro pazzia e la loro crudeltà”.

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Fonte: Me-Ti

Autore: Me-Ti

Articolo tratto interamente da Me-Ti


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