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sabato 27 settembre 2025

Iperturismo: quando il viaggio diventa sfruttamento



Articolo da Krisis

Industria da 11 trilioni di dollari, 357 milioni di posti di lavoro e 1,4 miliardi di viaggiatori: il turismo è una miniera d’oro globale. Ma dietro le celebrazioni Onu e gli slogan sulla sostenibilità si nasconde un flagello, l’iperturismo. I dati sono impressionati: ad Andorra ci sono 52 turisti per abitante, nell’isola greca di Zakynthos 150 e nel centro storico di Venezia 520. Le conseguenze? Crisi ambientale (Maya Bay in Thailandia), erosione culturale (Dubrovnik svenduta a Instagram), speculazione immobiliare (Napoli espugnata da Airbnb). Governi e multinazionali concentrano i profitti, mentre i territori vengono devastati, come in Albania dove la cementificazione selvaggia distrugge le coste.

Dà lavoro a 357 milioni di persone. Genera un volume d’affari pari al 10% del Prodotto interno lordo mondiale. Sposta 1,4 miliardi di anime ogni anno. Ha un tasso di crescita tra il 3 e il 6 percento. E in cinque anni si è ripresa con grande agilità dalla crisi del Covid.

È l’industria del turismo, una miniera d’oro che ogni anno sforna 11 trilioni di dollari. Venerata ai quattro angoli del pianeta, nel 1979 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha pensato bene di dedicarle un giorno tutto suo: il World Tourism Day, la giornata mondiale del turismo, che si festeggia ogni 27 settembre. Ma dietro ai lustrini dei summit internazionali e alla retorica sulla «sostenibilità» si nasconde il rovescio della medaglia, che alimenta sfruttamento, precarizzazione, concentrazione dei profitti in mano a pochi e distruzione dei territori.

Quest’anno le celebrazioni si svolgono in Malesia e il tema dell’evento è: «Turismo e trasformazione sostenibile». Nei suoi propositi, la giornata deve essere un’occasione per ribadire l’importanza di un turismo inclusivo, equo, verde, che richiede investimenti in vari settori. «Ciò significa» ha detto il segretario delle Nazioni Unite António Guterres, «investire nell’istruzione e nelle competenze, in particolare per le donne, i giovani e le comunità emarginate; sostenere le micro, piccole e medie imprese che sono la spina dorsale delle economie locali. Proteggere il nostro pianeta, conservando la biodiversità, salvaguardando gli ecosistemi e riducendo le emissioni in tutto il settore turistico».

Eccellenti propositi, fondamentali per creare armonia ed equilibrio in un settore che genera denaro pari al PIL annuale di Germania, Francia e Italia messe assieme (i già citati 11 trilioni di dollari). I Paesi più interessati dal settore sono Francia, Spagna e Stati Uniti. Insieme ospitano ogni anno più o meno 270 milioni di persone. Parigi nel 2024 ha ricevuto 49 milioni di turisti, Barcellona 15, New York City 65.

A Zakynthos 150 turisti per ciascun residente

Ma, fatta eccezione per quei luoghi dove sono in corso conflitti o gravi crisi economiche, ogni paese ha la sua buona dose di visitatori da compiacere, in ogni angolo del pianeta. In alcuni Stati la proporzione turista/residente supera i 10. Ciò vuol dire che per ogni residente arrivano 10 turisti. Il picco lo tocca Andorra, con 52 turisti per abitante. In realtà, la medaglia d’oro andrebbe a Città del Vaticano, che con i suoi 800 residenti riceve ogni anno 6 milioni di turisti. Il che fa un rapporto di 7500 visitatori per abitante. Ma questo è un caso particolare che non andrebbe preso in considerazione vista la peculiarità della Città Santa.

Il dato più impressionante invece lo fornisce l’Albania. Primo Stato di medie dimensioni ad avere un rapporto superiore a quattro. Un boom degli ultimi anni per via dei prezzi accessibili, dei recenti investimenti immobiliari in stile Far West e delle numerose spiagge un tempo sconosciute. Austria e Grecia si confermano poi come due destinazioni europee al top.

Una curiosità: se consideriamo realtà molto piccole, l’isola greca di Zakynthos (Zante) sbaraglia tutti con un rapporto di 150 turisti per residente. Ma anche Venezia non se la passa troppo bene. Con 25 milioni di visitatori annui e 250mila abitanti, il rapporto turista/residente arriva a 100. Se poi calcoliamo solo il centro storico, con i suoi 48mila residenti, il rapporto schizza a 520. Non ci sarà da stupirsi se un giorno le palafitte non reggeranno più il peso delle orde barbariche.

E il Belpaese, come si piazza? Il conto è semplice: 59 milioni di abitanti e 59 milioni di turisti previsti per il 2025. Il rapporto turista/residente è quindi pari a uno. Un dato rilevante, non a caso l’Italia al quinto posto nella classifica mondiale resta tra le destinazioni preferite con alti indici di gradimento. I dati del Ministero del Turismo per l’inizio estate 2025 non lasciano dubbi sull’importanza del settore: 17 milioni di arrivi a giugno, 59 milioni di presenze previste e una permanenza media per visitatore di circa 3,5 notti.

Cifre così commentate dal ministro del Turismo Daniela Santanchè: «L’Italia si conferma non solo un simbolo di bellezza e cultura, ma anche una potente industria turistica in costante crescita, pronta a conquistare nuovi mercati e a rafforzare la sua posizione di leader nel settore. Ci prepariamo quindi al meglio per il più grande evento al mondo sul turismo, il Global Summit del WTTC, che si terrà a Roma dal 28 al 30 settembre».

Il fascino delle mete instagrammabili

Ma la miniera turistica non fornisce sempre pepite d’oro. Purtroppo dietro a queste cifre miracolose e ai buoni propositi di politici e diplomatici si cela un male che negli ultimi anni è diventato un flagello: l’overtourism. Un fenomeno conosciuto alle nostre latitudini con il termine di iperturismo o sovraturismo, che ha trovato una sua precisa definizione. L’Organizzazione mondiale del turismo lo definisce come un «impatto su una destinazione, o parti di essa, che influenza eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepita dei cittadini e/o la qualità delle esperienze dei visitatori».

Insomma, troppa gente che si riversa in località che non hanno le strutture per ospitare grandi quantità di persone. Il cocktail malefico si perfeziona poi se aggiungiamo turisti che non rispettano l’ambiente e le tradizioni locali. Come le orde di chiassosi sbandati storditi dall’alcol nelle vie di Barcellona, le coppiette che incidono il loro nome sul travertino del Colosseo, gli avventurieri al safari per vedere (e spesso intralciare) le grandi migrazioni nei parchi Masai Mara e Serengeti, tra Kenya e Tanzania.

Che fattori hanno contribuito a questa turistificazione di massa? La risposta la lasciamo a chi ormai sa tutto. Secondo Gemini, l’Intelligenza artificiale di Google, le cause sono «la crescita della classe media globale, la democratizzazione dei viaggi grazie a voli low-cost e piattaforme online e la viralità dei social media che indirizzano i flussi verso mete “instagrammabili”. A questo si aggiunge la diffusione dell’economia della condivisione, come Airbnb, che ha ridotto la disponibilità di alloggi per i residenti e una generale mancanza di pianificazione e regolamentazione delle destinazioni turistiche».

Ma dietro i numeri record si nascondono conseguenze pesanti. Krisis ha cercato di capire  quali sono, chi colpiscono e quali rimedi possono attenuarle.

Danni alla barriera corallina di Maya Bay

L’iperturismo può essere causa di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo dovuto all’aumento dei trasporti e dei rifiuti causati dalla presenza di un numero di persone superiore alla norma. A ciò si aggiunge l’esaurimento delle risorse, in particolare di quelle idriche, dell’energia e il degrado del suolo per erosione e deforestazione. Un esempio? Maya Bay, una baia thailandese presa d’assalto per vedere la location di un film con Leonardo Di Caprio. Devastata da migliaia di barche di turisti, da rifiuti e da residui di sostanze chimiche contenute nelle creme solari che hanno danneggiato l’ecosistema portando alla perdita dell’80% della barriera corallina.

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Fonte: Krisis

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Articolo tratto interamente da Krisis


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