Articolo da Me-Ti
L’accordo concluso qualche giorno prima tra Stati Uniti e Giappone lo aveva anticipato: le trattative tra gli USA e i suoi principali partner politici e commerciali sono volte a rafforzare il dominio politico, economico, commerciale e militare degli USA a livello globale e rappresentano quindi una vera e propria controffensiva dell’imperialismo statunitense nel nuovo ordine mondiale.
La capitolazione di Ursula von der Leyen di fronte alle misure imposte dal presidente USA Donald Trump è l’immagine di un progetto europeo senza prospettiva, incapace di mettere in discussione il proprio modello di sviluppo economico e commerciale che si basa sull’export a detrimento della domanda interna e che vuole semplicemente continuare con il business as usual all’origine della stagnazione del continente europeo. In definitiva, si tratta di una classe dominante incapace di sviluppare un’autonomia strategica – politica, economica, militare – e che scarica sulla classe lavoratrice i costi della crisi in cui il continente è precipitato.
Colpiti saranno alcuni settori e aziende, quelli orientati verso l’export che avranno più difficoltà a vendere sul mercato USA, e soprattutto quelle che producono per il mercato interno e che si vedono tagliati, ancora una volta, importanti investimenti economici e una concorrenza USA ancora più feroce. Ma a pagare il conto finale del protezionismo statunitense sarà soprattutto la classe lavoratrice nel suo insieme.
Una vittoria totale del capitale statunitense
Per tutto il fine settimana passato, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva negoziato con un unico obiettivo in mente: evitare il 30% di dazi doganali che Washington aveva minacciato di introdurre sui prodotti europei in caso di mancato accordo entro il 1° agosto 2025. Considerata questa minaccia, von der Leyen si è detta soddisfatta dell’accordo raggiunto: ai prodotti europei sarà applicato un dazio doganale all’entrata sul territorio USA del “solo” il 15%. Ma questa (esagerata) soddisfazione europea passa sotto silenzio tre elementi fondamentali dell’accordo.
Primo, i dazi imposti ai prodotti europei sono del tutto asimmetrici perché non vengono accompagnati da tariffe doganali sui prodotti USA che continueranno a competere senza restrizioni sul mercato europeo. I dazi al 15% sono quindi di una vera e propria misura coercitiva unilaterale e non un accordo tra uguali. A dimostrazione che USA e UE non sono veri partner, ma che l’UE è subordinata agli USA.
Secondo, se a inizio aprile Trump parlava ancora di dazi del 10%, il risultato raggiunto il 27 luglio è decisamente a perdere. Un anno fa la media dei dazi sui prodotti europei negli USA era inferiore al 5%. A partire dal 1° agosto quindi i prodotti europei subiranno un aumento del prezzo notevole sul mercato statunitense. Se i dazi sulle automobili europee verranno diminuiti dal 25 al 15%, questa diminuzione non vale per i prodotti farmaceutici e metallurgici. L’acciaio e l’alluminio provenienti dal continente europeo rimarranno soggetti agli attuali dazi del 50%, cosa che praticamente costituisce una chiusura del mercato statunitense a questi prodotti europei.
Terzo – e forse è l’elemento più importante – l’accordo prevede dei forti impegni futuri da parte dell’UE negli USA.
1. Il continente europeo ha accettato di investire ulteriori 600 miliardi di dollari nell’economia USA, cioè tre volte il surplus commerciale realizzato dall’Europa negli USA nel 2024. Invece di investire nella propria economia, l’Europa preferisce farlo negli USA, malgrado il sottoinvestimento del capitale sia diventato un problema cronico dell’Eurozona, cosa che ha prodotto la debole crescita economica europea e un indebolimento della domanda interna.Tra l’altro, questo è il punto più oscuro di tutto l’accordo, perché i governi non potranno obbligare le aziende private europee a investire negli USA. Una delle ipotesi più plausibili è che a investire negli USA saranno dunque le grandi industrie, tipo quelle della difesa (in Italia Leonardo), che, pur essendo private, hanno il pacchetto di maggioranza relativa in mano al Tesoro o ad altri enti pubblici e quindi possono essere “istruite” in tale direzione. Dunque, investimenti di 600 miliardi che, probabilmente, verranno concentrati in settori chiave per supportare il dominio statunitense.
2. A questi investimenti economici si aggiungono 750 miliardi di dollari di spese in “prodotti energetici” statunitensi, cioè principalmente prodotti fossili come petrolio, gas di scisto e gas naturale liquefatto (GNL). Si tratta di un definitivo addio all’energia a basso costo: il GNL statunitense costa circa sei volte il prezzo del gas russo e a partire dal 2022, dopo l’invasione dell’Ucraina, lo staccamento dal gas russo ha costituito un elemento centrale della deindustrializzazione europea, soprattutto in Germania, fortemente dipendente dal gas russo. Va da sé che un costo così tanto più alto per le imprese europee ne comporterà una minore competitività futura, a favore di imprese concorrenti di altre aree (USA e non solo). Ma non solo aumento dei costi: insieme allo spostamento di ingenti capitali negli USA, questo elemento porterà anche a una diminuzione degli investimenti nelle energie rinnovabili, con un settore con forte potenziale di sviluppo e crescita, nonché necessario di fronte alla crisi climatica, che perderà terreno nei confronti di altri player mondiali, Cina in primis (che rimane il primo obiettivo degli USA).
3. Investimenti economici, prodotti energetici e, infine, “ingenti quantità” (cit. Trump) di armi statunitensi. Tutta la storia del rafforzamento della “sovranità europea” che ci hanno raccontato mentre annunciavano la messa a disposizioni di 800 miliardi di Euro all’industria europea con il programma “ReArm Europe” crolla come una casa di carta di fronte agli impegni presi dall’UE nell’accordo con gli USA, che confermano la dipendenza dell’Europa dalle forniture di armi statunitensi. Quindi, il piano di riarmo dei Paesi europei sosterrà la crescita economica USA, ben inteso tramite i tagli al welfare sociale (austerity) per le classi popolari.
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Fonte: Me-Ti
Articolo tratto interamente da Me-Ti







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