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La strage del Duomo di San Miniato avvenne il 22 luglio 1944 durante la seconda guerra mondiale. Cinquantacinque persone, radunate nella cattedrale, perirono a causa di una granata sparata dal 337º Battaglione d'artiglieria campale statunitense, che colpì accidentalmente l'edificio.[1][2]
Fino al 2004 la responsabilità dell'eccidio era stata erroneamente attribuita alle truppe tedesche della 3ª Divisione granatieri corazzati, allora in ritirata dalla cittadina[3].
Contesto storico-ambientale
L'inverno di guerra del 1944 aveva aggiunto in Italia nuove privazioni a quelle a cui la popolazione era stata costretta nel passato. Scarsità di generi alimentari di prima necessità, mancanza di vestiario e spesso di corrente elettrica e poco carbone disponibile favorivano il contrabbando, il mercato nero e la borsa nera. Il vantaggio di un inverno mite e con poche piogge s'era risolto in un fatto negativo per le continue incursioni aeree, a ondate, sulle città. Con la primavera San Miniato divenne luogo di alloggiamenti militari: in città si stanziarono dai trenta ai cento[4] soldati della 3ª Divisione granatieri corazzati del Generalleutnant (generale di divisione) Walter Denkert[5], nella Villa Antonini aveva sede il Comando tattico della 90ª Divisione granatieri corazzati che era dislocata, come la 26ª Divisione corazzata, nelle ville di campagna adiacenti alla città; tutte e tre le divisioni erano inquadrate nel XIV Corpo d'armata corazzato. Gli eccidi nazisti a Civitella in Valdichiana, a Falsano, a Castello di San Pancrazio, e la formazione di piazzole per mitragliatrici nella frazione di Calenzano e in Paesante (a sud-ovest di San Miniato da cui si domina la valle dell'Enzi e dell'Egola) accumulavano timori nella popolazione.
Nella seconda metà del luglio 1944, la Quinta armata statunitense avanzò inesorabilmente: il 17 luglio furono liberati i comuni di Montaione e Ponsacco, rispettivamente a est e a ovest di San Miniato che, per la sua configurazione geografica, risultava un punto strategicamente importante per le truppe tedesche impegnate a tenere la posizione fino al mattino del 24, prima di ritirarsi al di là della "linea Heinrich" lungo il fiume Arno. La città, aveva visto crescere notevolmente il numero degli abitanti a causa di sfollati delle vicine città di Pisa, Livorno, Pontedera che vi avevano cercato ricovero, viveva momenti particolarmente tesi. Il 17 luglio l'ordine di evacuazione della cittadina, impartito dal Comando tedesco per garantire alle truppe una ritirata sicura e agevole, venne ignorato dalla popolazione. Il 18 luglio l'ingiunzione venne reiterata e ancora una volta non fu eseguita, anche perché il podestà era scomparso e non c'era un'autorità di riferimento nel paese.
Tre formazioni partigiane operavano nelle campagne circostanti San Miniato: la brigata "Corrado Pannocchia" comandata da Loris Sliepizza, la "Mori Fioravante" comandata dallo stesso Mori e la "Salvadori Torquato" comandata dal medesimo[6]. Queste formazioni si erano rese protagoniste di alcuni scontri e dell'uccisione, dall'11 al 18 luglio[7], di tre militari tedeschi, fra cui un ufficiale. La città si ritrovava quindi minacciata dalla strategia tedesca della ritirata, lenta e aggressiva. Il 18 luglio i tedeschi, in relazione all'uccisione dei tre militari, arrestarono tredici persone che in un secondo tempo furono tutte rilasciate. Successivamente, da mercoledì 19 i tedeschi iniziarono a minare molti edifici in gran parte lungo la strada principale facendoli saltare nella tarda serata e nella notte dal 20 al 21, tra questi la sede della Cassa di Risparmio e metà del palazzo Grifoni. Nel complesso, prima del loro abbandono del paese fu raso al suolo circa il 60% delle case.[8]
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