Articolo da VeZ – Veneto ecologia Z Generation
Si chiude il processo Pfas: una sentenza storica, quella emessa oggi 26 giugno dal Tribunale di Vicenza, dove si è concluso il processo per l’inquinamento da Pfas provocato dalla fabbrica Miteni di Trissino, un caso di contaminazione di massa venuto alla luce nel 2013 che coinvolge 350.000 persone residenti tra le province di Vicenza, Verona e Padova.
Sono arrivate condanne da un minimo di 2 anni e 8 mesi a un massimo di a 17 anni e 6 mesi per 11 manager ed ex manager della Miteni, di Mitsubishi Corporation, proprietaria dell’impianto ex Miteni tra il 1998 e il 2009, del fondo di investimento International chemical investors group (Icig), che in quell’anno ha acquistato lo stabilimento per la somma simbolica di un euro. Il totale delle pene inflitte è pari a 141 anni. Quattro imputati sono invece stati assolti. Gli imputati erano accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale e bancarotta fraudolenta.
Per le parti civili sono stati stabiliti risarcimenti significativi, tra questi spiccano i 56,8 milioni di euro per il Ministero dell’Ambiente. Il totale dei risarcimenti ammonta a oltre 75 milioni di euro. Alla Regione del Veneto oltre 6,5 milioni di euro. Molti comuni coinvolti dall’inquinamento hanno ottenuto 80mila euro di risarcimento ciascuno.
Alla lettura della sentenza ci sono state manifestazioni di gioia, in aula, da parte delle Mamme No Pfas, dei comitati e delle parti civili presenti.
Il processo, iniziato nel 2021, va a chiudersi con quella che può essere considerata una vittoria dei movimenti ambientalisti che in questi anni hanno tenuto accesi i riflettori e raccolto informazioni sulla vicenda Pfas. Ora l’obiettivo è la bonifica integrale del sito Miteni e delle falde inquinate, come richiesto a gran voce da attiviste e attivisti presenti in tribunale.
«Sentenza storica. Esemplare – commenta sui social a caldo Alberto Peruffo, attivista No Pfas della prima ora –. Che dimostra che le grandi proprietà, specie le multinazionali, sono potenzialmente criminali e possono essere fermate. Ora dobbiamo rivolgere lo sguardo contro chi ha permesso tutto ciò».
Il commento di Legambiente
Legambiente parla di «sentenza storica e grande vittoria per il popolo inquinato». Sono le parole di Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente: «Dopo anni di denunce, vertenze e battaglie, portate avanti anche da Legambiente e dai suoi circoli, chi ha inquinato finalmente paga per aver avvelenato senza scrupoli il territorio veneto danneggiando non solo l’ambiente, ma anche la salute dei cittadini. Un grande lavoro, a partire dalla prima denuncia nel 2014 fatta dal Circolo “Perla Blu” di Cologna Veneta e dall’avvocato Enrico Varali coordinatore regionale del Centro di azione giuridica di Legambiente, che in questi anni si sono battuti, dentro e fuori le aule del tribunale, per ottenere ecogiustizia».
«Con la sentenza di oggi a Vicenza – prosegue Ciafani – si conclude, infatti, uno tra i più grandi processi di inquinamento ambientale che la storia d’Italia ricordi: il processo ai vertici delle aziende che si sono avvicendate nella gestione del sito produttivo Miteni, oggi condannate per aver contaminato l’acqua da PFAS, compresa l’acqua potabile, della seconda falda acquifera d’Europa a servizio di più di 300.000 persone nella regione Veneto. Ora si proceda quanto prima alla bonifica del sedime inquinato, che ha provocato e continua a provocare una delle più estese contaminazioni acquifere con cui i cittadini veneti sono costretti a confrontarsi da decenni: dalle acque di falda – rese pericolose ai fini idropotabili ed irrigui in un’area di più di 180 km quadrati – ai corsi d’acqua superficiali che attraversano quei territori (Fratta Gorzone, Bacchiglione, Retrone, Adige) esposti ad una persistente presenza di questi forever chemicals, con conseguenze negative per l’ecosistema, la salute e per l’economia produttiva».
«La sentenza arrivata oggi – dichiara Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto – è frutto di un processo durante il quale è stato provato senza ombra di dubbio che l’inquinamento da PFAS e da altre sostanze (C604 e GenX) proviene dal sito Miteni e sia imputabile alla gestione, anche recente, dell’impianto industriale. La conferma da parte della Corte dell’ipotesi accusatoria della Procura per tutti gli imputati e, soprattutto, la conferma della natura dolosa dei reati contestati rende finalmente giustizia alle parti civili ed a centinaia di migliaia di persone, contaminate a loro insaputa per decenni. Durante il processo è emerso con chiarezza che per troppo tempo la dirigenza della Miteni ha volutamente ignorato e, poi, omesso di comunicare agli enti di vigilanza e controllo preposti che le sostanze prodotte nel sito di Trissino avevano contaminato la falda acquifera e, comunque, si erano disperse anche nelle acque superficiali».
Per quanto riguarda la bonifica del sito produttivo, in questi giorni, ricorda Legambiente, è arrivato un primo importante segnale, ossia l’approvazione in conferenza dei servizi del Comune di Trissino del “documento di analisi del rischio” propedeutico al progetto di bonifica, che dovrà portare all’elaborazione, entro sei mesi, di un piano di bonifica del sito Miteni a cura di tutte le aziende a vario titolo coinvolte. Rispetto alle acque di falda inquinate non è invece ancora stato attivato alcun percorso.
«Ci auguriamo – aggiungono Ciafani e Lazzaro – che la sentenza di oggi possa essere un monito ed una spinta ulteriore a rispettare quanto previsto per la bonifica del sito produttivo e ad accelerare l’applicazione di soluzioni anche per il disinquinamento delle acque di falda contaminate. Per affrontare in maniera adeguata l’emergenza PFAS, emersa nel 2013, risulta sempre più urgente, anche alla luce della sentenza odierna, lo sviluppo da parte di Governo e Regione di alcuni necessari interventi per una compiuta analisi e stima dello stato di salute dei cittadini, della contaminazione esistente e dell’impatto che l’esposizione ai PFAS ha generato nella popolazione. Tra questi risulta prioritaria la prevenzione da eventuali nuovi fenomeni di contaminazione, attraverso l’immediata approvazione delle aree di salvaguardia nei procedimenti in itinere, come da proposta dei Consigli di bacino ex art. 94 del decreto legislativo 152/2006 al fine di garantire che la compromissione della falda esistente e fenomeni ulteriori di inquinamento da PFAS dei punti di approvvigionamento idrico in Veneto non si ripetano, facendo memoria della tragica e costosa esperienze del passato».
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Fonte: VeZ – Veneto ecologia Z Generation
Autore: vez
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Articolo tratto interamente da VeZ – Veneto ecologia Z Generation







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