Articolo da Krisis
Dal deserto del Negev alle stanze segrete di Dimona, passando per Parigi, Washington e Hollywood: la nascita del programma atomico israeliano è una storia di complicità nascoste e ambiguità strategiche. Prima puntata del viaggio di Krisis nella storia dell’unica potenza nucleare non dichiarata del Medio Oriente. Lo Stato ebraico non ha mai aderito al Trattato di non proliferazione nucleare e non ha mai confermato ufficialmente il possesso di armi nucleari. Un segreto geopolitico che resiste da oltre 70 anni.
Nel corso di un’intervista rilasciata al Corriere della sera il 18 giugno scorso, lo storico israeliano Benny Morris ha difeso l’Operazione Rising Lion sferrata dalle forze israeliane con l’obiettivo dichiarato di smantellare definitivamente il programma nucleare iraniano. A suo avviso, l’Iran non ha titolo per dotarsi dell’arma nucleare in quanto «regime fanatico messianico islamico», a differenza di Israele che è «una società democratica occidentale».
Prescindendo dal merito specifico, le esternazioni formulate da Morris sollevano per l’ennesima volta il velo su una realtà ufficiosa perché mai riconosciuta dalle autorità di Tel Aviv, ma data per assodata ormai da decenni: il possesso dell’arma atomica da parte di Israele. La «gestazione» dell’arsenale nucleare israeliano risale al 1952, quando, ad appena quattro anni di distanza dalla nascita dello Stato ebraico, prese avvio il programma nucleare di Tel Aviv.
1952: inizia il programma nucleare
Il compito di svilupparlo era stato affidato a Ernst David Bergmann, scienziato di fama internazionale formatosi presso l’istituto di chimica organica Emil Fischer di Berlino, dove aveva avuto modo di stringere rapporti con professionisti di settore molto vicini a personalità di spicco come Ernest Rutherford e Marie Curie. Suo padre era uno dei più influenti rabbini di tutta la Germania, nonché amico intimo del biochimico Chaim Weizmann, che qualche decennio dopo sarebbe diventato il primo presidente israeliano.
Stando alle ricerche di alcuni studiosi, fu proprio Weizmann a reclutare Bergmann per conto dell’Haganah. Nel 1936 l’organizzazione paramilitare ebraica operante in Palestina durante il mandato britannico lo aveva incaricato di assoldare uno scienziato in grado di fornire supporto tecnico per mettere a punto una nuova tipologia di esplosivo da impiegare per la guerra contro gli arabi e le forze colonialiste britanniche.
In seguito alla fondazione di Israele, Bergmann fu assunto dal Ministero della Difesa e collocato alla direzione della commissione per l’energia atomica creata per volontà del premier David Ben-Gurion e del suo giovane braccio destro Shimon Peres, dopo che Robert Oppenheimer, John Von Neumann ed altri scienziati connessi al Progetto Manhattan avevano declinato la proposta di dedicarsi alla ricerca in Israele.
All’epoca, Ben-Gurion e Peres erano fermamente convinti che il neonato Stato ebraico non sarebbe riuscito a garantire la propria sicurezza in assenza di un formidabile deterrente strategico. Anche Bergmann ne era fortemente convinto, sostenendo che «lo Stato di Israele ha bisogno di un programma di ricerca per l’autodifesa rivolto a impedire che qualcuno ci trasformi nuovamente in agnelli destinati al mattatoio».
Il gruppo di lavoro guidato da Bergmann, di cui facevano parte luminari della scienza del calibro di Niels Bohr, Amos Deshalit e Aharon Katchalsky, fu incaricato dal Ministero della Difesa di Tel Aviv di avviare le prime prospezioni nel deserto del Negev per verificare l’eventuale presenza di uranio. Riuscirono a reperire solo alcuni minerali che lo contenevano in misura variabile, ma risolsero il problema della scarsità mettendo rapidamente a punto uno speciale procedimento chimico di estrazione.
Produzione di acqua pesante
Concepirono simultaneamente un nuovo metodo di produzione dell’acqua pesante (che funge normalmente da stabilizzatore nei reattori nucleari) traendo ispirazione dall’esperienza pregressa maturata in Francia, che li aveva visti collaborare con personale locale per la costruzione di un reattore e di un impianto di trattamento presso Marcoule.
La cooperazione in materia scientifica e la compartecipazione all’operazione militare lanciata a Suez nel 1956 impressero una svolta decisiva alle relazioni franco-israeliane, dissodando il terreno per un’intesa nucleare segreta sottoscritta l’anno successivo nel cui ambito scienziati francesi operarono fianco a fianco con i loro colleghi israeliani per la realizzazione di un reattore da 24 megawatt in un bunker sotterraneo presso Dimona, nel deserto del Negev.
La struttura, composta da ben sei piani, comprendeva anche un impianto di riprocessamento preposto alla produzione di plutonio a uso bellico. La componentistica necessaria alla costruzione del complesso di Dimona fu reperita da personale francese attraverso specifici canali di contrabbando, mentre i funzionari israeliani siglarono un accordo sottobanco con il governo norvegese per l’acquisto di una ventina di tonnellate di acqua pesante utili a raffreddare il reattore, sempre al fine di mantenere l’intero programma nucleare israeliano avvolto in una coltre di mistero.
La segretezza rappresentava un punto fondamentale dell’accordo di collaborazione franco-israeliano, al punto da indurre le autorità di Tel Aviv a incaricare (1957) il funzionario dello Shin Bet Benjamin Blumberg di creare una sezione dei servizi di intelligence apposita. Nacque così il Lekem, un «ufficio per le relazioni scientifiche» preposto all’acquisizione delle tecnologie e dei materiali necessari a fabbricare armi atomiche.
Società milanese di facciata
L’organismo si attenne scrupolosamente al proprio mandato, dapprima ottenendo circa 200 tonnellate di ossido di uranio di origine congolese acquistate in Belgio da una società milanese di facciata, e successivamente sottraendo 266 kg di uranio altamente arricchito (sufficiente a fabbricare 11 ordigni nucleari) dai depositi della Numec. Vale a dire una compagnia statunitense riconducibile a Zalman Shapiro, un chimico ebreo dell’Ohio collocato su posizioni ardentemente sioniste che aveva fornito un contributo cruciale allo sviluppo del primo sottomarino a propulsione nucleare (lo Uss Nautilus).
La Numec fu sottoposta a una serie di indagini dell’Fbi per via dei numerosi ospiti francesi e soprattutto israeliani – tra cui il futuro direttore del Lekem Rafi Eitan e il futuro direttore dello Shin Bet Avraham Bendor – che giungevano a visitarne gli stabilimenti. Il Lekem svolse un ruolo cruciale nel mantenere la classe dirigente di Tel Aviv allineata alla direttiva politica originaria, consistente nell’occultamento sistematico delle ambizioni nucleari israeliane.
I documenti desecretati finora suggeriscono che gli Stati Uniti non avevano accesso al contenuto preciso dell’accordo franco-israeliano. Un rapporto della Cia datato 8 dicembre 1960 afferma che «Israele è impegnato nella costruzione di un complesso di reattori nucleari nel Negev, vicino a Beersheba», ma evidenzia che «esistono diverse interpretazioni circa la funzione di questo complesso, tra cui la ricerca, la produzione di plutonio o di energia elettrica o combinazioni di queste». Eppure, «sulla base di tutte le prove disponibili» si può concludere che «la produzione di plutonio a fini bellici rappresenta almeno uno degli obiettivi principali di questo sforzo».
Da un altro documento recentemente declassificato, datato 2 dicembre 1960 e redatto dal Comitato congiunto di intelligence per l’energia atomica, si evince tuttavia che i funzionari statunitensi avessero maturato una consapevolezza più profonda. Davano praticamente per assodato che a Dimona fosse stato costruito «un impianto di separazione del plutonio» accanto a «un grande reattore». Secondo le stime formulate alla fine del 1960 dall’intelligence statunitense, le due componenti necessarie all’allestimento di un arsenale atomico erano insomma già nella disponibilità di Israele.
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Fonte: Krisis
Autore: Giacomo Gabellini
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