Articolo da Storie in Movimento
Nei giorni scorsi il ministro dell’Istruzione e del Merito ha pubblicato le nuove indicazioni nazionali per l’insegnamento della storia nel ciclo della scuola primaria e secondaria di primo grado. Se ne sta parlando molto, nei nostri ambienti quanto meno, e molte associazioni hanno già espresso il loro parare nella maggior parte dei casi sfavorevole. Oltre a un’analisi dei contenuti riteniamo sia utile porsi la domanda a chi si sta rivolgendo il ministro con queste indicazioni? Questa prospettiva può essere utile anche per inquadrare più generalmente l’azione del ministro Valditara e le sue mezze riforme.
Fatico a trovare una definizione della scuola che sia davvero efficace. Mi sembra che, sia per definire a cosa serve e quali siano le sue vere finalità, sia per definire il suo stato di salute, sia per definire le persone che la frequentano, siano esse lavoratrici o studenti, ogni definizione che si legge o si propone non sia mai del tutto a fuoco. Senza voler essere provocatorio ma a mo’ di esempio, come docente di lettere in un Istituto Tecnico della profonda provincia milanese al confine con quella bergamasca (un luogo di daneè e produttività), provo sinceramente a fare una scuola che non sia strumento del mercato, a dare ai ragazzi e alle ragazze che ho il piacere di frequentare cinque giorni la settimana e sono nei miei pensieri per ben di più di 18 ore settimanali, una scuola che li aiuti anche a crescere guardandosi dentro e guardando con spirito critico il mondo attorno a loro; allo stesso tempo però un istituto tecnico da una formazione specifica e settoriale, ad esempio il corso Costruzione Ambiente Territorio l’indirizzo formerly known as Geometra, e quindi pensare che la scuola non abbia anche un risvolto di quel tipo mi sembra semplicemente impossibile.
In ogni caso una definizione mi è sempre difficile trovarla. Chi invece sembra non avere difficoltà è il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara: la scuola serve a trasmettere un’identità. Questo è uno dei punti su cui il ministro sta lavorando dal suo insediamento. Il ministro leghista sa come coccolare i e le docenti con frasi in loro difesa e misure sempre più severe per chi aggredisce. Misure punitive molto severe anche per chi fallisce prove di Educazione civica (non mi dilungo ora sulla questione ma ci tornerò sopra più avanti). Chi non dovesse raggiungere la sufficienza in quella materia, che è trasversale e gestita da tutto il consiglio di classe, dovrà sostenere un esame in cui dimostra di aver recuperato i temi affrontati quali: «educazione alla cittadinanza, all’educazione alla salute e al benessere psicofisico e al contrasto delle dipendenze, all’educazione ambientale, all’educazione finanziaria, all’educazione stradale, all’educazione digitale e all’educazione al rispetto» come ha dichiarato, ed è riportato sullo stesso sito del MIM, il ministro il 7 settembre 2024.
E da qui, credo, sia necessario partire per parlare delle nuove indicazioni ministeriali sull’insegnamento della storia. In molti e molte, a vario titolo coinvolti e coinvolte, hanno espresso i loro giudizi in merito e il giudizio non può che essere negativo a mio avviso. Come ha fatto notare la SISSCO, ad esempio, è difficile valutare il percorso delineato quando le indicazioni non sono per le scuole superiori di secondo grado ma solo per primaria e secondaria di primo grado. E questo non è un punto da poco, perché queste indicazioni non si sono spinte fino alla fine del percorso scolastico? Non è chiaro o almeno io non ho trovato spiegazioni in merito. Le 150 pagine di indicazioni hanno un intento di trasmissione di un’identità italiana precisa, con la riscoperta di una Historia magistra patriae. Non si può che condividere ciò che dice il comunicato della SISSCO: «Le indicazioni nazionali 2025 adottano una concezione pedagogica e politica della Storia che appare fortemente nostalgica del Novecento, sicuramente anacronistica rispetto alla realtà della disciplina.» La storia nella scuola deve insegnare la grandezza dell’Italia, le sue radici cristiane, per carità in termini puramente culturali, e le sue epopee.
Non sono in grado di fare una analisi compiuta delle linee guida e in parte da docente mi verrebbe da dire che di indicazioni nazionali non si muore. In questi anni la scuola ha assorbito e depotenziato molte riforme o indicazioni o interventi. Il modus operandi è stato poi sempre ristabilito. Prendiamo la stessa questione delle indicazioni nazionali: ora magari c’è chi si potrebbe essere chiesto cosa siano, in teoria sono ciò che ha sostituito i programmi già da diversi anni. Ma in realtà, i programmi non se ne sono mai andati, complici anche i libri di testo sopratutto per materie come storia. Quindi forse dovremo preoccuparci di queste linee quando sentiremo le case editrici annunciare un reale adeguamento dei libri di testo. I programmi, come ha detto Christian Raimo su Il Post, sono tecnicamente stati aboliti anni fa ma, aggiungo io, tornano come zombie, anzi non se ne sono mai andati e per tanti motivi. Anche queste indicazioni nazionali, come fa notare sempre Raimo, in fin dei conti sono state stilate da persona che pensano siano dei programmi. Ma perché quindi è giusto preoccuparsi per questa iniziativa, seppur un po’ sgangherata sembra, del ministro? Per una questione che forse è più ampia. Perché il ministro, mi pare, non abbia come primo interesse che queste indicazioni nazionali entrino in vigore. Certo ha una chiara e preoccupante idea di scuola, trasmissiva con gli e le studenti ben fermi e ferme ai banchi, in silenzio e che dicono si prof grazie prof ora si che ho capito prof, e queste indicazioni lo dimostrano. Ma ha uno scopo più ampio e che bisogna considerare. Per farlo dobbiamo guardare ad altre affermazioni e azioni ministeriali.
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Autore: Francesco Pota
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Articolo tratto interamente da Storie in Movimento
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