Articolo da Storie in Movimento
Simona Feci e Laura Schettini (a cura di), L’autodifesa delle donne. Pratiche, diritto, immaginari nella storia, Viella, 2024, 324 pp.
Gli ultimi casi di femminicidio su giovani donne continuano a farci interrogare sul tema della violenza maschile. Un testo che raccoglie numerosi saggi di storiche e studiose cerca di dare una nuova prospettiva storica al tema, proseguendo un filone che era già stato affrontato con “Mai più sole” contro la violenza sessuale di Nadia Maria Filippini (leggi la nostra recensione qui), ma anche con il nostro contributo sul processo di Mazan (che trovi qui, qui, qui e pure qui), durante il quale Gisele Pelicot ha affermato nel presente che le donne non sono più soggetti “disarmati” e che la vergogna deve cambiare lato.
Alice Corte ha letto L’autodifesa delle donne. Pratiche, diritto, immaginari nella storia.
Nato dall’incontro tra studiose di diverse discipline, che prosegue il lavoro iniziato nel 2017 con un convegno volto a mettere in luce sotto il profilo storico la violenza di genere, L’autodifesa delle donne. Pratiche, diritto, immaginari nella storia, edito nel 2024 per i tipi di Viella, si pone l’ambizioso obiettivo di dare spazio alle donne come soggetti attivi e non più “disarmati”, anche quando sopravvissute alla violenza.
E le autrici si augurano che questa raccolta di saggi possa uscire dagli ambienti accademici, perché, dichiarano, il libro vuole per scelta essere militante, femminista, strumento anch’esso di autodifesa[1]. L’approccio al tema segue linee di riflessione ampie e si compone di tredici saggi che si snodano in tre nuclei principali: Rivendicare, agire, immaginare l’autodifesa; Il diritto all’autodifesa; Contesti di autodifesa. La prima sezione riporta saggi che raccontano da un lato movimenti politici, come quello delle suffragette o l’elaborazione teorica pratica fatta con la pratica di autodifesa marcatamente femminista WenDo, dall’altro un’elaborazione teorica che è passata attraverso espressioni artistiche di contenuto antipatriarcale, come nell’opera di Niki de Saint Phalle. La seconda sezione passa invece a un’analisi dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale del tema dell’autodifesa, a partire da un saggio che vede l’evoluzione del concetto proprio in relazione alle donne che reagirono di fronte alla violenza. Infine, l’obiettivo dell’ultima sezione, quella di più ampio respiro storiografico, è quello di «mettere in luce le multiformi storie di resistenza alle maglie oppressive dell’autorità e del potere esercitato dagli uomini» (p.28) e lo fa partendo dalla storia moderna per arrivare alla seconda guerra mondiale.
I saggi, oltre a essere molto interessanti sotto diversi profili – che possono incontrare o meno il favore di chi legge, spaziando su tanti temi diversi – mi hanno più volte fatta “ritrovare” e penso che questo sia un sentire che qualunque donna che abbia provato a riflettere sul tema della violenza di genere (anche solo per averla subita dopo una molestia sull’autobus o guardandosi le spalle tornando a casa la sera) possa sentirsi in qualche modo chiamata in causa dalle letture .
La raccolta di saggi, infatti, parla alle femministe che si sono fatte promotrici di pratiche di autodifesa nate dalle arti marziali, ma applicate alla lotta politica, come fecero le suffragette che impararono il ju-jitsu per poter rispondere alla repressione poliziesca, ma anche a quelle che organizzarono le prime manifestazioni notturne, per dimostrare che se vissuta insieme anche la “notte ci piace” e forse sono più le mura domestiche a far paura.
Parla alle donne sopravvissute alla violenza, che hanno affrontato o stanno affrontando un processo per aver contrastato deisoprusi, o sono vittime una seconda volta per la violenza sistemicatribunali, penali o civili, perché, ad esempio, considerate provocatrici da un lato (nei casi di violenza sessuale) e profittatrici dall’altro (quando si separano da uomini violenti). O, ancora, perché incolpate di essere cattive madri e sottoposte ad esame psicologico per non aver saputo proteggere se stesse e i propri figli…
Parla ai centri antiviolenza, che in quei tribunali hanno messo il punto, grazie al sostegno di tante donne stanche di sentirsi violentate di nuovo.
Parla alle singole che hanno alzato la voce perché anche se in certi contesti – come quelli di guerra, ma anche nel rapporto familiare – sembra “normale” (nel caso analizzato nella Grecia occupata), lo stupro non dovrebbe essere mai considerato un sopruso di serie b e i colpevoli dovrebbero essere perseguiti come tali.
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Autore: Alice Corte
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