Carola Moccia, in arte La Niña, non si esibisce nel canto: ruggisce. Ruggisce per tutte.
Con Figlia d’a Tempesta – un travolgente inno alla rabbia femminile – la cantautrice partenopea plasma il dolore in musica, con un connubio di tradizione e rivoluzione. Ascoltarla è come sentirsi prese per mano da un coro di donne che da secoli attende il suo momento per esprimersi.
Quel verso d'apertura, “Perché sono nata femmina”, non è un interrogativo, bensì un colpo nello stomaco. Narra di chi nasce donna in un mondo che ambisce a vincolarla a gravidanze e matrimoni (“chi me vò prena, chi me vò ‘nzurata”), ma anche l'incrollabile determinazione di chi si autoproclama “figlia della tempesta”, indomabile
La musica è un ciclone: tamburi ancestrali, chitarre battenti come lame, cori che rimandano a tragedie greche. Non ci sono sfumature: è una preghiera laica per chi non vuole più pregare.
Quando La Niña canta “p’e sore ca c’ate luato, ca nun so’ turnate” (“per le sorelle che ci avete strappato”), la voce si spezza. È in quel preciso istante che il pezzo cessa di essere una canzone e si trasforma in un monumento alle donne soppresse, a quelle che hanno combattuto in silenzio, a chi ancora lotta per non essere “vestita da puttana o da sposa”.
Niente vittimismo, solo rabbia autentica: quella che brucia quando realizzi che “ha dato la vita e gliel’hanno tolta milioni di volte”.
L'incanto risiede nell'equilibrio: la tradizione napoletana si sposa con un suono viscerale, contemporaneo. Il clavicembalo si confronta con ritmi tribali, mentre le parole – crude come ferite aperte – ci ricordano che certe battaglie non hanno tempo.
Quando il coro esplode in “mo vò tutte cose!” (“ora voglio tutto!”), è impossibile non alzarsi in piedi. Perché non parla di riscatto: è una guerra cantata, nota dopo nota.
Consiglio di alzarne il volume al massimo, preferibilmente in una stanza gremita di donne. Sentirete il peso delle catene che si spezzano e, forse, riconoscerete la vostra voce tra quelle del coro.
Figlia d’a Tempesta non è soltanto un brano: è un abbraccio a chi ancora desidera lottare. E un monito per chi pensa che il silenzio sia per sempre.
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Bellissima e potente questa canzone, altre mille ce ne vorrebbero!
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