venerdì 11 marzo 2022

A pagare sono sempre e soltanto i lavoratori



Articolo da La Fionda

LE MULTINAZIONALI DETTANO LA LINEA, I GOVERNI CHINANO LA TESTA E A PAGARE SONO SEMPRE I LAVORATORI, e soprattutto le lavoratrici

Le Multinazionali stanno dettando da tempo la linea con la loro presenza nei Trattati di libero commercio e rappresentano quasi un terzo e oscuro convitato tra i due soggetti stipulanti.  I grandi Gruppi operano nelle segrete stanze del potere e stravolgono le politiche pubbliche, con un’azione civilmente dolosa e sono onnipresenti in tutte le attività economiche legate alla vita dei cittadini.

Tutto diventa un business, la salute delle persone, la natura, l’ambiente; si afferma la rapina dei territori e vengono calpestati i diritti dei lavoratori e soprattutto delle lavoratici.

1.In seguito al processo di internalizzazione dell’economia dagli anni ’90, la liberalizzazione dei mercati ha favorito la concentrazione del mercato nelle mani di pochi, le grandi compagnie transnazionali, un nuovo soggetto politico che, tramite i Trattati di libero commercio, travolge le politiche economiche pubbliche e tutela invece gli interessi dei grandi investitori. Le grandi multinazionali esercitano una forte attrattiva nei confronti degli Stati proprio per la loro capacità di investimenti, hanno utili crescenti e bilanci superiori agli Stati, ma i loro interessi non coincidono con quelli delle persone, di noi comuni cittadini: si fanno Stato e sottraggono sovranità alle nostre istituzioni.

Viene annullato quasi proditoriamente, con la firma degli accordi di libero commercio, il principio di precauzione, una tutela della salute per i cittadini europei, visto che ogni prodotto e ogni attività in Europa, non certo in Usa o in Canada o in Brasile, deve essere controllato a monte e non a valle.

E in questi Trattati vengono istituiti i Tribunali internazionali di arbitrato, Corti di una giustizia parallela, presso cui le Multinazionali possono citare in giudizio gli Stati che non garantiscono i profitti dei grandi gruppi: una privatizzazione della giustizia, supportata da studi internazionali di avvocati al servizio degli interessi dei grandi gruppi.

Vediamo qualche caso eclatante di “protezione” dei profitti per i più forti.

Un esempio eclatante, Westmoreland Canada Westmoreland Mining Holdings LLC contro Government of Canada

Danni richiesti, almeno $ 470 milioni di CAD (Canadian Dollar)

Stato Attivo, il Canada ha ricevuto l’avviso di arbitrato il 12 agosto 2019.

Regole arbitrali della Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL)

Il 20 agosto 2018, caso Westmoreland Coal Company, una società registrata nello Stato del Delaware negli Stati Uniti contro il Canada. La Westmoreland, che possiede Prairie Mines & Royalty ULC ed è incorporata in Alberta, dove è proprietaria e gestore di miniere di carbone, presenta una richiesta di arbitrato, il Notice of Arbitration (NOA) avviando il processo di arbitrato NAFTA (ambito del Trattato USA, Canada) il 12 agosto 2019.

Westmoreland accusa il Climate Leadership Plan (CLP) della Provincia di Alberta, che ha programmato di eliminare gradualmente tutta l’elettricità generata dal carbone entro il 2030; di conseguenza, è stata ridotta la durata della vita delle miniere di Westmoreland in Alberta e Westmoreland si è sentita trattata ingiustamente. Non si conosce l’esito della citazione.

Anche l’Italia è stata di frequente citata in cause arbitrali. In uno dei casi che ha coinvolto l’Italia, la condanna è arrivata per il taglio retroattivo agli incentivi sul fotovoltaico che l’allora governo Renzi effettuò con il decreto Spalma Incentivi. CEF Energia BV, società olandese, aveva investito nel nostro Paese in tre distinti progetti fotovoltaici (“Megasol”, “Enersol” e “Phoenix”), che hanno beneficiato di alcune agevolazioni. Il decreto Spalma Incentivi avrebbe ridotto il sussidio del 6-8%. Mentre decine di imprese italiane colpite dalla stessa misura hanno potuto fare ricorso soltanto alle corti nazionali, la società olandese ha potuto beneficiare dell’arbitrato, riservato agli investitori esteri. Nel 2015 ha sporto denuncia e nel gennaio 2019 è arrivata la condanna per l’Italia, sono stati pagati 10,6 milioni di euro

•        L’Italia ha provato a difendersi: una  sentenza della Corte di Giustizia Europea, infatti, aveva stabilito che l’arbitrato fra Stati membri era incompatibile con il diritto dell’Unione. Ma gli arbitri della causa CEF Energia BV vs Italia hanno fatto orecchie da mercante perché l’oggetto del contendere, in questo caso, non era il diritto dell’Unione ma una legge nazionale. Una interpretazione al limite e non condivisa da tutti e tre gli arbitri. Un’interpretazione che però rischia di fare letteratura, proprio quando si è avuto l’epilogo di un altro pericoloso caso ISDS, intentato contro il nostro paese ai sensi del Trattato sulla Carta dell’Energia: quello che ha visto la società petrolifera britannica Rockhopper chiedere fino a 350 milioni di euro all’Italia per averle vietato di trivellare entro le 12 miglia marine, ambito il Trattato sull’Energia. L’Italia ha salvato poi le coste per le proteste dei cittadini, ma ha dovuto pagare, conclusione agosto del 2021.

•        Dopo la Spagna, il nostro è il paese più colpito da una scarica di arbitrati internazionali nell’ambito del Trattato sulla Carta dell’Energia e sul finire del 2018 ha perso la causa: 7,4 milioni di euro da sborsare alla danese Greentech Energy Systems (ex Athena Investments) per aver cambiato la normativa sugli incentivi alle rinnovabili nel 2014. La Carta dell’Energia è in vigore dal 1998 ed oggi conta 48 paesi firmatari in tutto il mondo, più l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica. Secondo i dati ufficiali, per 11 volte l’Italia è stata bersaglio di investitori scontenti delle politiche pubbliche, pronti a recuperare denaro grazie alla clausola ISDS contenuta nel trattato.

2. Le grandi Società si fanno avanti in modo spregiudicato e non rinunciano all’idea di incamerare profitti, tanto più durante l’odierna pandemia. Il Covid-19 ha creato ulteriore ricchezza per i grandi gruppi e ulteriore miseria per i poveri. Solo negli Stati Uniti, dal 18 marzo al 15 settembre, la ricchezza di 643 soggetti è cresciuta complessivamente di 845 miliardi di dollari, mentre 50 milioni di lavoratori hanno perso il lavoro.

Prima tra le Multinazionali, guadagna Amazon, che ha avuto un aumento del 70% dei profitti da marzo a oggi, arrivando a contare 192 miliardi di dollari, profitto ottenuto con lo sfruttamento dei lavoratori impegnati nelle consegne, pagati in modo indecoroso. Circa 700 euro al mese.

Secondo due Ong che monìtorano le Multinazionali (Global Health Advocates e Corporate Europe Observatory), Big Pharma tre anni fa ha rifiutato la proposta dell’Unione Europea di lavorare ai vaccini contro agenti patogeni come il coronavirus, prima che la situazione esplodesse. Le due Ong sostengono che le multinazionali dei farmaci controllano miliardi della UE nella ricerca e relegano in secondo piano l’interesse pubblico. L’Efpia, la potente lobby dell’industria farmaceutica, ha sottovalutato l’impegno sulle pandemie e, già dal 2017, ha addirittura sconsigliato l’IMI, un partenariato pubblico privato, nel cui Consiglio di Amministrazione siedono funzionari della Commissione e rappresentanti delle case farmaceutiche, a finanziare progetti su preparazioni biologiche utili per combattere eventuali pandemie. Sempre pensando alla salute, la ricerca viene finanziata in gran parte dal pubblico, ma poi di fatto è commercializzata dalle Multinazionali del settore che, come abbiamo segnalato più volte, vogliono mantenere la proprietà del brevetto dei farmaci e i relativi introiti. Gravi le conseguenze non solo sul prezzo ma anche sulla disponibilità dei vaccini sul mercato.

E’stato più volte ripetuto il concetto di «global public good», di «bene pubblico mondiale», ma siamo ancora solo nel campo delle promesse. La salute della popolazione mondiale viene pertanto sacrificata sull’altare del profitto, mentre dovrebbe essere esercitato il principio della responsabilità da parte di chi occupa sedi istituzionali.

Le ricadute del Covid, oltre che sulla salute, appaiono sempre più di tipo economico e sociale. C’è chi diventa sempre più ricco. A dirlo l’ultimo rapporto pubblicato da Oxfam “La pandemia della disuguaglianza”, diffusa in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos.

Nei primi 2 anni di pandemia i 10 uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni, passati da 700 a 1.500 miliardi di dollari, al ritmo di 15mila dollari al secondo, 1,3 miliardi di dollari al giorno. Nello stesso periodo si stima che 163 milioni di persone siano cadute in povertà a causa della pandemia. «Già in questo momento i 10 super-ricchi detengono una ricchezza sei volte superiore al patrimonio del 40% più povero della popolazione mondiale, composto da 3,1 miliardi di persone. Se anche vedessero ridotto del 99,993% il valore delle proprie fortune, i super ricchi resterebbero comunque membri titolati del top-1% globale» osserva Gabriela Bucher, direttrice di Oxfam International, commentando i dati che emergono da “La pandemia della disuguaglianza”

Disuguaglianza e povertà non sono certo un tragico frutto di uno sventurato destino ma frutto di errate politiche pubbliche.

Dall’inizio dell’emergenza Covid-19, ogni 26 ore un nuovo miliardario si è unito ad un’élite composta da oltre 2.600 super-ricchi le cui fortune sono aumentate di ben 5 mila miliardi di dollari in termini reali, tra marzo 2020 e novembre 2021. Il surplus patrimoniale del solo Jeff Bezos nei primi 21 mesi della pandemia (+81,5 miliardi di dollari) equivale al costo completo stimato della vaccinazione (due dosi e booster) per l’intera popolazione mondiale.

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Fonte: La Fionda


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Articolo tratto interamente da 
La Fionda


2 commenti:

  1. Un detto dice a Pagare sono i poveri, perchè lavoratori chiamata< la massa.
    Interessante post, molte cose non le conoscevo.

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