venerdì 25 marzo 2022

L'eccidio delle Fosse Ardeatine


Articolo da The Password

Era un venerdì, il 24 marzo 1944. Sono passati 78 anni da quel giorno.

Ai soldati, posti davanti alle vittime indifese ed incoscienti del motivo per il quale si trovavano dentro una cava naturale, viene dato l’ordine di sparare. Sparare sì, ma facendo attenzione a colpire direttamente il cervello, in modo tale che possano morire seduta stante, senza dover utilizzare un colpo successivo, vista la mancanza di munizioni.

Il casus belli — se così si può definire — ha luogo giovedì 23 marzo, giorno prima del famigerato eccidio. I partigiani, per intimorire le truppe tedesche e far capire loro che la popolazione romana è antifascista e decisa a riconquistare l’amata libertà, compiono un attentato, che successivamente prenderà il nome di Attentato di via Rasella. Al partigiano Rosario Bentivegna viene affidato il compito di portare in posizione il carretto con l’esplosivo nella via romana, dove dovrebbe passare a breve una colonna di soldati tedeschi. Quasi un’ora dopo l’ora stabilita, il reggimento tedesco giunge a destinazione. Ancora pochi minuti di ritardo e l’operazione partigiana sarebbe stata annullata. Bentivegna accende la miccia e si dilegua; il carretto esplode dopo pochi secondi. Ventisei soldati tedeschi muoiono sul colpo. I superstiti — in preda al panico e pensando di essere stati attaccati dall’alto — aprono il fuoco contro le finestre dei civili.

Nei minuti immediatamente successivi vengono informati gli Alti Comandi tedeschi in Germania. Hitler ordina di procedere ad un vero e proprio rastrellamento, ad una rappresaglia che “faccia tremare il mondo intero”. Nelle sue intenzioni, per ogni SS uccisa devono essere fucilati 50 italiani. Ulteriori disposizioni impongono ai soldati di terminare l’operazione celermente, entro e non oltre le 24 ore successive all’attentato partigiano.

Gli Alti Comandi tedeschi situati a Roma — comprendendo che la proporzione 50:1 avrebbe creato caos e disordine nella capitale — decidono di fissare la proporzione a 10:1 (ad ogni soldato tedesco morto corrispondono dieci italiani da condannare alla fucilazione). Si catturano inizialmente duecentocinquanta persone, tra residenti della via — complici, secondo i nazifascisti, dell’attacco — e semplici passanti. Questi vengono portati nelle carceri di Via Tasso sotto la minaccia delle armi.

Oltre ai catturati, si decide di fucilare anche i condannati a morte già presenti nel carcere Regina Coeli, i quali, però, sono solamente tre. Per completare la lista si decide di aggiungere settantacinque ebrei arrestati i giorni precedenti e, per raggiungere il numero previsto di 330, dodici attivisti antifascisti.

Kappler, comandante della Gestapo a Roma, organizza la macchina della morte: i soldati del Reich devono uccidere i prigionieri elencati nella “lista nera” in meno di sette ore. Resta solo da definire il luogo in cui compiere l’operazione: serve un’ampia camera che possa contenere tutte queste persone. Il capitano Kohler propone di utilizzare delle cave abbandonate poco fuori Roma, sulla Via Ardeatina.

Il primo gruppo di prigionieri viene fatto entrare nelle gallerie delle Cave Ardeatine alla luce delle torce. Giunti al fondo del cunicolo, i primi cinque uomini vengono fatti inginocchiare. Alle 15:30 di venerdì 24 marzo 1944, l’eccidio ha inizio. Pochi minuti dopo, uno dei soldati si rifiuta di eseguire l’ordine. L’incessante ritmo crea tensione fra chi sta partecipando alla realizzazione del massacro. Dopo un breve dialogo con il comandante, lo si convince a rendersi partecipe degli omicidi. Entra così il secondo gruppo di cinque che si deve inginocchiare sui cadaveri dei prigionieri già uccisi, il terzo… il quarto… il quinto… fino ad arrivare al sessantasettesimo.

Kappler viene informato dell’errore: al posto di 330, gli uomini fatti inginocchiare sono 335. Cinque uomini in più del previsto. Quelli che eccedono sono, quindi, da eliminare? Egli, interrogato al termine della guerra, dichiarerà che era a conoscenza dello sbaglio “ma poiché erano lì…” perché risparmiare loro la vita? Vennero, quindi, uccisi a sangue freddo come tutti gli altri.

Alle 20 cessano gli spari. I corpi di 335 uomini assassinati vengono raccolti in due mucchi al fondo delle gallerie. Prima di abbandonare le cave, i soldati minano gli ingressi e li fanno esplodere per sigillare ogni entrata.

Le 335 persone brutalmente condotte in un luogo a loro ignoto, velocemente ammassate e brutalmente ammazzate non sapevano perché si trovassero lì. Non sapevano di dover dire addio alle proprie madri, alle proprie mogli, per un crimine che non avevano commesso. Non erano al corrente dell’attentato in via Rasella. Non erano al corrente di una loro imminente fucilazione. Erano solamente state prelevate a forza e condotte nel luogo in cui avrebbero trovato inesorabilmente la morte. Tra di loro i giovani rappresentavano una grande parte. Quattro non avevano nemmeno compiuto la maggiore età:

  • La più giovane vittima aveva 15 anni. Si chiamava Michele Di Veroli ed era nato nel 1929. Come mestiere faceva il venditore ambulante. Venne incarcerato al Regina Coeli perché ebreo. Fu ucciso insieme al padre.
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Fonte: The Password


Autore: G
iulia Arduino 

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Articolo tratto interamente da The Password


5 commenti:

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