giovedì 14 marzo 2013
A due anni da Fukushima
Articolo da Pressenza
Esattamente due anni fa, l’11 marzo del 2011, il nord del Giappone fu colpito da un tremendo sisma, che generò anche una spaventosa onda di tsunami. I reattori nucleari della centrale di Fukushima-1 vennero gravemente danneggiati. Il reattore n. 1 subì un incidente di eccezionale gravità, con la fusione del nocciolo e la fuoriuscita del combustibile fuso, che rimase, assolutamente incontrollabile, ai piedi del reattore.
Anche i reattori n. 2 e 3 subirono una parziale fusione del nocciolo. Avvenne poi una serie di incidenti assolutamente imprevisti in questo campo. Il combustibile nucleare esaurito è talmente radioattivo e caldo che non può essere maneggiato direttamente, per cui viene immerso in piscine di disattivazione… in attesa di essere portato in un deposito definitivo sicuro: abbiamo messo i puntini perché nessun paese al mondo ha realizzato un tale deposito (il progetto di Yucca Mountain negli USA è stato definitivamente accantonato perché non dava sufficienti garanzie di sicurezza, dopo dieci anni di progettazione e altrettanti di lavori e la spesa di circa 10 miliardi di dollari), per cui le barre del combustibile irraggiato rimangono accumulate molto a lungo nelle piscine “provvisorie” all’interno delle centrali. Ebbene, per la prima volta le piscine dei reattori n. 2, 3 e 4 di Fukushima hanno subito dal sisma danni molto gravi: continua a destare preoccupazioni soprattutto la piscina dell’unità n. 4, dove sono depositate in modo addensato un numero molto grande di barre e che potrebbe cedere in caso di un altro sisma molto forte (nella zona si sono susseguite scosse di diversa intensità e in tutto il Giappone il rischio di terremoti di eccezionale intensità rimane molto concreto).
Molto ci sarebbe da dire sull’incidente (in realtà, come si è detto, per lo meno 6 incidenti!). Basti qui precisare che l’incidente non è stato provocato, come a lungo si è fatto credere, dall’eccezionale onda di tsunami (per la quale comunque le protezioni erano insufficienti), ma dal sisma, che ha causato in modo determinante i processi incidentali.
Come sempre è avvenuto nel caso di incidenti nucleari, le autorità e gli organismi internazionali si sono adoperati per minimizzare le conseguenze, ormai informazioni e evidenze dimostrano che la situazione è completamente diversa. E’ soprattutto sotto accusa l’atteggiamento e l’incuria del governo giapponese. Anche gli organi di stampa giapponesi sollevano continuamente dubbi sulla serietà e attendibilità dei dati forniti dal governo (si veda ad esempio Deutsche Welle, http://www.dw.de/rising-doubts-about-japans-official-radiation-figures/a-16631709).
Le procedure di decontaminazione della prefettura di Fukushima sono state profondamente criticate come approssimative. Le conseguenze della radioattività per la popolazione giapponese si manifesteranno nei prossimi decenni. Sono gravissime anche le conseguenze psicologiche, per l’incidente, per le persone che sono state sradicate dalle loro abitazioni, per il timore che riguarda gli alimenti, per la perdita di lavoro e di produzioni (Fukushima era una zona di produzione agricola biologica). Greenpeace ha redatto recentemente un nuovo report allarmante su Fukushima (www.greenpeace.org/international/fukushima-fallout).
Un aspetto molto importante, su cui l’informazione all’opinione pubblica è stata molto carente (et pour cause!), riguarda “chi paga i danni e i risarcimenti alla popolazione”? Ebbene, in buona sostanza … la popolazione stessa: in Italia diciamo “paga Pantalone”. Perché l’industria nucleare, che strombazza sempre la convenienza economica (oltre alla sicurezza) dell’energia nucleare, è largamente esentata dalle normative dalla responsabilità per i rischi e i danni. Il governo giapponese ha stanziato a più riprese, con un’ultima tranche nel febbraio scorso, ben 3.343 miliardi di yen che, essendo soldi pubblici, sono soldi dei contribuenti, cioè della collettività.
Ci sarebbe moltissimo altro da dire, ma in Internet chi le voglia cercare troverà moltissime informazioni. Ci preme qui (ri)sollevare questi problemi perché l’anniversario di Fukushima rischia di passare quasi inosservato e i servizi degli organi di (dis)informazione saranno prevedibilmente per la maggior parte rituali, se non assolutori. Purtroppo non siamo a conoscenza di forti manifestazioni in Italia, dove dopo il referendum dell’11 giugno 2011 è calato su questi temi un diffuso disinteresse, anche se abbiamo ancora molti problemi preoccupanti da risolvere.
Chiudere il nucleare nel mondo
Sabato scorso è stata organizzata a Parigi una catena umana, con la partecipazione di più di 20.000 persone di molti paesi, per ricordare l’anniversario di Fukushima e chiedere l’uscita dal nucleare.
Qual è infatti la situazione? Ogni incidente nucleare grave impone in tutti i paesi che utilizzano questa energia una profonda revisione dei sistemi e delle norme di sicurezza. Al di là della serietà con cui questa revisione viene effettuata, questo comporta una considerevole lievitazione dei costi. Le centrali nucleari erano già ampiamente fuori mercato prima di Fukushima e solo attraverso l’enorme potere delle lobby e la complicità dei governi (sono in ballo fior di miliardi!) l’industria nucleare poteva continuare a sostenere la convenienze di questa scelta energetica. Basti pensare che negli Stati Uniti l’industria elettrica (privata) da più di 30 anni non ordina nuove centrali nucleari e nemmeno i generosi stanziamenti di Bush e di Obama per sostenerla sono riusciti a rilanciarla. In Europa sono in costruzione nuovi reattori (francesi) a Olkiluoto in Finlandia e a Flammanville in Francia, ma il primo, iniziato nel 2005 con una previsione di costo di poco più di 3 miliardi di euro e di entrata in funzione nel 2009, ha subito un incredibile allungamento dei tempi (non è chiaro se potrà entrare in funzione entro il 2014) e un raddoppio dei costi! Attualmente, nelle poche gare per le offerte per la realizzazione di centrali nucleari, le industrie presentano costi preventivi che si aggirano sui 6-9 miliardi di euro!
Il costo di una centrale però riguarda solo una minima parte della storia. A parte le conseguenze di incidenti che sono i più gravi e duraturi che la società industriale possa provocare, il problema del combustibile esaurito e delle scorie nucleari non è stato risolto in nessun paese al mondo (ammesso che abbia una “soluzione”): si tenga presente che l’enorme radioattività del combustibile esaurito permane per centinaia di migliaia di anni. Vi è poi il problema dello smantellamento (decommissioning) dei reattori nucleari alla fine della loro vita operativa: nessuno ne conosce esattamente i costi e di fatto questa operazione è talmente complicata e costosa che le circa 130 centrali chiuse nel mondo aspettano di venire smantellate e rischiano di rimanere monumenti permanenti alla stoltezza umana!
La gravità delle conseguenze di incidenti come quelli di Chernobyl del 1986 e di Fukushima, insieme ai problemi dei costi e dell’ingestibilità di tutto il ciclo nucleare, sta inducendo ripensamenti da parte di molti paesi che fino a due anni fa alimentavano programmi in questo campo. La Germania, che programmava l’allungamento della vita operativa delle sue centrali, ha deciso di rinunciare a costruirne altre e di chiudere quelle attualmente in funzione entro il 2022. A ruota la Svizzera ha deciso di non costruire altre centrali nucleari. La Cina proseguirà nella costruzione di centrali nucleari, ma ha riveduto e rallentato i programmi. Non dimentichiamo che l’Austria decise di non avventurarsi in programmi nucleari con un referendum popolare nel 1987.
Casi particolari sono la Francia e il Regno Unito. La prima è il paese più nuclearizzato del mondo e produce il 75% dell’energia elettrica da fonte nucleare (e ha uno dei più potenti e moderni arsenali di bombe nucleari). La lobby nucleare è fortissima, radicata nel sistema economico statale, ma il movimento antinucleare sta crescendo. E la Francia ha accumulato problemi colossali dai suoi programmi nucleari, che per ora covano sotto la cenere, ma sono destinati prima o poi ad esplodere. Tra l’altro il nucleare francese si regge per il brutale sfruttamento coloniale dei giacimenti di uranio del Niger (si veda l’intervento militare di Parigi in Nordafrica).
Il caso del Regno Unito è paradossale, perché il governo si ostina ad avviare la costruzione di nuove centrali (acquistate dalla Francia), a dispetto delle crescenti difficoltà che incontra, con un tira e molla senza fine con la francese Edf (Electricité de France) sui costi e le garanzie economiche che questa pretende. La gestione dell’eredità passata dei programmi nucleari nel paese arriva a previsioni di costi allucinanti e crescenti, dell’ordine dei 100 miliardi di sterline.
Se si vuole avere un’idea della pretestuosità dei programmi nucleari e della necessità di questa fonte energetica per coprire i consumi (che in questi anni di crisi economica sono diminuiti in tutti i paesi sviluppati, con l’eccezione della Cina) bastano poche considerazioni. La prima, sul piano generale, è che i circa 440 reattori nucleari in costruzione nel mondo forniscono appena il 2% dei consumi totali di energia (l’energia elettrica costituisce meno del 20% dei consumi, e circa il 14% di questa è fornita dal nucleare).
Proprio il Giappone rappresenta l’esempio più paradossale. La classe politica giapponese è profondamente collusa con l’industria nucleare e non intende farla finita (ancor meno il nuovo governo reazionario e militarista sorto dalle recenti elezioni). Ma pochi sanno che il paese non ha assolutamente bisogno di questa energia! Nel maggio 2011 tutte le 50 centrali giapponesi furono chiuse per le revisioni. Il governo diffuse un vero terrorismo sul rischio di black out nel periodo estivo e, vincendo forti resistenze popolari, impose a luglio la riapertura di due centrali. Ma da allora nessun’altra centrale è stata riavviata e il Giappone ha superato indenne sia l’estate che l’inverso con due sole centrali nucleari funzionanti! E avrebbe potuto benissimo fare a meno anche di queste.
È necessario ricordare ancora, brevemente, che il nucleare civile non è indipendente dal nucleare militare ed è stata la strada attraverso la quale sono passati i paesi che hanno realizzato la bomba (ultima, per ora, la Corea del Nord). Il disarmo nucleare deve essere realizzato eliminando anche l’energia elettronucleare.
La radioattività de’ noantri
Bisogna dare uno scossone anche all’opinione pubblica italiana, che pensa di dormire sonni tranquilli dopo il referendum del giugno 2011. Ricordiamo i fatti essenziali. In primo luogo, quando si tratta di fare lauti affari i programmi nucleari sono sempre in agguato. L’Enel è proprietaria di reattori nucleari in Spagna, Slovacchia e Bulgaria.
Gli utenti italiani continuano a pagare nelle bollette, dopo 26 anni dal referendum del 1987, circa 300-400 milioni di euro di oneri nucleari, proprio per l’insolubile eredità che lascia questa fonte energetica.
Abbiamo residui nucleari stoccati in una miriade di depositi temporanei, perché nessun governo ha realizzato un deposito nazionale, che dia le necessarie garanzie di sicurezza (ci provò Berlusconi in Basilicata, nel solito modo cialtronesco e fu fermato dalla rivolta di Scanzano Ionico del 2003).
Questa situazione è densa di pericoli e di costi e richiede una sensibilizzazione e mobilitazione della popolazione per essere risolta. Ma l’indifferenza di (tutti) i politici è a dir poco scandalosa. Basti pensare al provvedimento del governo Monti di sciogliere, visto l’esito del referendum, l’Agenzia per la Sicurezza che era stata creata da Berlusconi. Intendiamoci, quell’Agenzia, per come era stata concepita, era un’aberrazione, ma per gestire i problemi nucleari che ha ereditato il nostro paese è necessaria un’Agenzia seria, alla stregua di quanto accade negli altri paesi. Una preoccupazione che non sfiora nemmeno le menti e i programmi dei nostri politici!
Fonte: Pressenza
Autore: Angelo Baracca
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Articolo tratto interamente da Pressenza
Photo credit SandoCap caricata su Flickr - licenza foto: Creative Commons
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