Articolo da Il Corsaro - l'altra informazione
È un continente strano,
quello latinoamericano. Deve il suo nome ai colonizzatori che lo
“scoprirono” e conquistarono. Quella parte di Terra che va dai deserti
del Messico del nord alle gelide coste di Capo Horn racchiude in sé gran
parte delle fasce climatiche del pianeta, ospita la più grande riserva
verde del Mondo, fiumi tra i più lunghi e vette tra le più alte ma è
nota a tutti come “quella parte d'America in cui si parlano lingue
latine”. L'America latina vive nel continuo ricordo di chi la conquistò e
ne distrusse l'originalità. Per secoli fu terra d'altri, un luogo ove
attingere ricchezze da portare in madre patria. Quattrocento anni di
colonialismo l'hanno calpestata e offesa; ne hanno offeso le popolazioni
autoctone che si sono viste espropriare la terra, ne hanno offeso la
natura e l'ecosistema. Il tutto è proseguito con il decolonialismo, che
in molti casi ha sostituito i padroni e le denominazioni ma che
raramente ha cambiato la sostanza delle cose. Per decenni abbiamo visto
capi di Stato latinoamericani bianchi come cenci e dai lineamenti
sicuramente più europei che indios. Le politiche economiche, le
politiche sociali e ambientali sono state sempre di stampo occidentale e
liberale, capitalista e imperialista anche quando non esisteva più
nessun impero.
Solo negli ultimissimi
decenni (eccezion fatta per la rivoluzione cubana), i popoli
nativo-americani (o ciò che ne resta) si sono potuti autodeterminare in
nazioni. Così abbiamo visto inaspettatamente che Paesi come la Bolivia,
il Venezuela, il Brasile, l'Uruguay e molti altri hanno saputo prendere
in mano le redini del proprio governo, dando un taglio alle ingerenze
estere che tuttora tentano di controllarne l'economia.
È superfluo ricordare la
ricchezza in termini di materie prime di questo continente e, quindi, la
ricchezza che rappresentano queste economie in pieno sviluppo.
Piuttosto è poi da ricordare lo splendore culturale di queste terre.
Troppo spesso si dimentica che qui sorgevano delle civiltà con usi e
costumi che sono sopravvissuti ancor oggi nella memoria e
nell'immaginario collettivi. Una cultura con luci ed ombre, fatta di
comunitarismo e solidarietà ma anche di una spiccata misoginia e
patriarcalità. Vedere quindi uno stato come quello boliviano, il primo
in Sudamerica per numero di assassinii di donne e secondo, dopo Haiti,
per numero di violenze sessuali, varare questa settimana una legge che
punisce il femminicidio è una conquista culturale prima ancora che
sociale e giuridica. 30 anni di reclusione senza possibilità di grazia
per chiunque compia “ogni azione o omissione che provochi la morte o la
sofferenza di una donna (…), danno fisico, sessuale e psicologico ad una
donna (…), ogni azione che generi un pregiudizio al suo patrimonio o
alla sua occupazione per il solo fatto di essere donna”: la pena più
alta prevista ad oggi nel codice penale boliviano. La “Ley Integral para
Garantizar a las Mujeres una vida libre de Violencia”, varata dal
governo di Evo Morales, pone la legislazione boliviana a un livello
rispetto al quale molte "democrazie" occidentali non sono ancora
arrivate.
Lo stesso discorso vale per
l'Uruguay, dove nel dicembre scorso è stato approvato dalla Camera dei
Deputati il disegno di legge che legalizza i matrimoni gay ("Matrimonio
Igualitario"), ora in attesa di approvazione da parte del Senato . L'Uruguay ha la legislazione più avanzata di
tutto il continente in materia di diritti civili e di coppie
omosessuali: permette già il riconoscimento delle coppie di fatto e
l'adozione di bambini da parte di coppie gay. Questo in una cultura, quella latino-americana, notoriamente omofobica.
Vivo/viviamo in un Paese che
non riconosce alcuna forma di diritto a coppie dello stesso sesso e non
riconosce che uccidere, percuotere o maltrattare una donna solo in
quanto tale rappresenta un'aggravante. In Italia l'unico dibattito
pubblico sull'argomento è rappresentato dai post-it del sito Repubblica,
dai monologhi della Litizzetto a Sanremo o dal grido di due promessi
sposi: ma occorrono leggi e non solo iniziative creative. Abbiamo
bisogno che certa carta stampata, invece di trasmettere palesi menzogne
senza fondamento riguardanti la "bara vuota" di Chavez e invece di
stigmatizzare governi e presidenti eletti e sostenuti dal popolo,
verifichi le fonti e ci parli della realtà dei fatti. Abbiamo bisogno
che politici e società civile che hanno rinnovato il Parlamento si
rendano conto che esiste già un ruolo che sono tenuti ad adempiere per
mandato elettorale, quello del legislatore: stilare leggi e farle
approvare è il loro compito, tenere d'occhio la questione di genere
piuttosto che le discriminazioni sessuali è ormai una priorità che
dovrebbe riguardare ogni partito a cui sarà assegnato il mandato per
formare il govermo ma che purtroppo manca dalle agende elettorali degli
eletti.
Autore: Giulio Gezzi
Licenza:
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.
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Articolo tratto interamente da Il Corsaro - l'altra informazione
Photo credit Marcello Casal Jr./ABr [CC-BY-3.0-br], attraverso Wikimedia Commons
Vibrante rievocazione storica. Il mio auspicio che si vada avanti sulla strada del progresso morale e civile.
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