La favola del disarmo
Il mandrïano dell’Aràm riposa.
E questa l’ora che ciò ch’era in cielo
di nubi fosche, trascolora in rosa:
l’ora, che appressa ciò ch’è lungi: un velo
vela il presente, un raggio è sul passato;
ombra al deserto, luce sul Carmelo:
l’ora, o pastore del deserto ombrato,
che al tuo ricordo appressa ciò ch’è morto,
ed al tuo sonno ciò che non è nato.
Tu dormi: è pace. Ma qual urlo è sorto
rauco dall’ombra? Oh! tu dormi. Le fiere
bevono insieme a non so qual Marmorto;
scesero a bere acqua di pace, a bere
acqua d’oblìo. Perciò non temi: un’onda
sola è comune a tigri ed a pantere.
Bevono: veglia la pupilla tonda,
mentre le lingue rosse come brace
leccano l’acqua che dal muso gronda.
Pastore errante, e tu non vegli: è pace:
ogni belva disarma ora gli unghioni,
disarma l’odio del suo cuor pugnace...
No! veglia! veglia! accendi i fuochi, i buoni
fuochi, in cui grande è l’umile virgulto!
Non senti come un brontolìo di tuoni?
Un bramito, un grugnito ed un singulto
di sangue: voci d’ira irrequïete:
ed ecco arde la rissa, arde il tumulto,
la guerra! Nelle cupe ombre segrete
arde la guerra: l’acqua della gora
non è bastata a tutta quella sete.
Ora, silenzio. Ma tu veglia ancora;
nutrisci il fuoco buono ed infinito;
veglia ed aspetta il raggio dell’aurora!
Qualcuno viene; solo uno: fuggito
o vincitore? Tacquero le iene.
Un urlo tuona; solo, ma ruggito;
ed è sol uno, ma leon, che viene.
Giovanni Pascoli
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